Non rimanere soli

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Grea[t]!
view post Posted on 10/2/2010, 17:17




CITAZIONE (L'ora d'oro @ 10/2/2010, 16:38)
Cari Amici,

domani si terrà a Coira un "Caffè letterario" su Non rimanere soli. Certamente parlerò anche del nostro forum e inviterò i presenti a visitarlo per, magari, partecipare alla discussione.

Sulla sollecitazione di Scerbancredi:
Intanto bisogna correggere Scerbanenco: il campo di Federico (come quelli frequentati dall'autore) non è un "campo di concentramento", bensì un "campo profughi" o un "campo per rifugiati" (in Svizzera non c'erano "campi di concentramento").

Anche a me il nome del secondo compagno di Federico nel campo aveva fatto sobbalzare sulla sedia: Jelding (simile a Jelling). Ma poi avevo lasciato perdere la suggestione, perché in effetti, a parte il nome, non c'erano somiglianze.
Si potrebbe anche vedere come si chiamavano i compagni di campo di Scerbanenco, ma sarebbe una ricerca difficile.

Ora mi chiedo: non potrebbe essere che i due personaggi rappresentino due comportamenti estremi rilevabili tra gli ospiti del campo (e tra i quali era oscillato forse anche lo stesso Scerbanenco, prima e durante l'esperienza desolante del campo profughi)? Ma evidentemente è solo una speculazione senza punti di appoggio, se non la nota eleganza dell'autore prima e dopo l'esilio.

D'altra parte riporto questo brano dal coevo Mestiere di uomo di Scerbanenco, intitolato Non giudicare (è l'ultimo capitolo):

«Chi è debole? Chi è forte? Quando conosciamo qualche nuova persona, presto nella nostra mente si forma da sé, una specie di giudizio: quella persona è forte. Quella persona è debole. Quella persona è generosa, oppure è egoista.
E quando abbiamo detto di uno che è un debole, o un generoso, dopo, per tutta la vita, quell’uno è sempre debole o generoso, per noi. Passano gli anni, ma il nostro giudizio non cambia, vediamo sempre quella persona nella cornice della debolezza, o della generosità.
Eppure, il nostro giudizio su qualcuno, si forma nei primi momenti di conoscenza ed è spesso basato su una fuggevole impressione, o su una serie di impressioni fortuite, casuali. Ecco: vediamo un uomo in un impotente ufficio, dietro una lucida scrivania, con ossequiosi visitatori intorno. E allora per noi, quell’uomo è importante, è forte, è potente. Ma se lo vediamo presso una chiesa, vecchio, stendere la mano chiedendo l’elemosina, ecco, diciamo che è un debole, un uomo finito, che merita soltanto la nostra pietà.
Ma è lo stesso uomo. E se il nostro giudizio era vero allora, quando era potente, ed era vero poi, quando elemosinava, pure erano tutti e due relativamente veri. Perché non esistono forti o deboli, cattivi o buoni, avari o altruisti, non esiste nulla di tutte queste classificazioni che ingombrano la nostra mente, ma esistono solo uomini, solo anime, che ora tendono verso la generosità ora verso l’eroismo, ora sono forti, ora sono piegate dalla disgrazia.
Noi non siamo merci in scatola con una etichetta sopra: buono – cattivo. Siamo un piccolo mondo in continuo fermento, fluido, e non siamo qui per giudicarci, perché ogni nostro giudizio è in fondo vano, ma per volerci bene. Dividerci in operai o in ricchi signori, in intelligenti o stupidi, significa abbassarci, degradarci al rango delle cose che si dividono, come in animali da cortili che si dividono in specie pregiata e in specie comune. L’uomo è una sola specie: la specie umana. Una terribile specie, capace del peggiore male, ma anche del più generoso bene. Questo è il solo giudizio che possiamo dare all’uomo».

Che sia una chiave di lettura? Che Brautsch e Jelding siano due possibili declinazione contrastanti della stessa personalità, che ora tende all'eleganza e alla ricercatezza e ora alla trascuratezza? Chissà!

PS: se aveste qualche sollecitazione per il "Caffè letterario" di domani sera su Non rimanere soli, sarà benvenuta!

La frase finale è meravigliosa. Ecco la grandezza di un autore, ecco la grandezza di Scerbanenco: sintetizzare la verità di un'aspetto dell'esistenza.
Sono completamente d'accordo con le parole dell'autore.

La chiave di lettura di L'ora d'oro è come sempre attenta e profonda, oltre che calzante. Magari conoscessimo precisamente quello che Giorgio pensava mentre scriveva queste righe: semplice descrizione di personaggi o riproposizione del passaggio de Il mestiere di uomo? Chissà, forse entrambe.
Credo di poter dire però, ed Andrea non mi ha smentito, che il pensiero a Jelling ci sia, almeno soffermandoci solo al nome del compagno di campo.

Ma state facendo molti caffè letterari riguardo Non rimanere soli o sbaglio? Che piacevolezza, peccato essere a circa 1300 km di distaza. <_<
 
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edgar831
view post Posted on 28/6/2014, 12:37




Finito solo ora di leggerlo.
Lo avevo comprato ancora nel 2008 o 2009, non ricordo bene, e ho iniziato a leggerlo solo due settimane fa, è rimasto li dov' era per anni, ogni tanto lo guardavo pensando "tra poco ti leggerò" ma il tempo passava e non leggevo o leggevo altro fino a moneto in cui, finito il ciclo della fondazione lo ho iniziato.
Il miglior romanzo di Scerbanenco che ho mai letto, molto poetico e filosofico mi sono rispecchiato nel protagonista Navel e un po' anche in Giovanni e ho capito il perchè non lo evevo letto prima: semplicemente è stato il libro stesso a non farsi leggere perchè sapeva che non ero pronto all' epoca in cui lo ho comprato, non lo avrei capito e apprezzato come ora.
Un solo gravissimo difetto, fnisce (so che è una frase standard ma è la verità).
Altra cosa da dire è che è scritto veramente bene, talmente bene che leggendolo le immagini, i luoghi, i personaggi mi sembrava di conoscerli da sempre, come se avessi visto l' ipotetico film del romanzo o come se avessi visitato la grande città o i paesini con la stazione ferroviaria.
Da leggere.
Ciao a tutti!!!!
 
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Grea[t]!
view post Posted on 13/7/2014, 20:43




CITAZIONE (edgar831 @ 28/6/2014, 13:37) 
Finito solo ora di leggerlo.
Lo avevo comprato ancora nel 2008 o 2009, non ricordo bene, e ho iniziato a leggerlo solo due settimane fa, è rimasto li dov' era per anni, ogni tanto lo guardavo pensando "tra poco ti leggerò" ma il tempo passava e non leggevo o leggevo altro fino a moneto in cui, finito il ciclo della fondazione lo ho iniziato.
Il miglior romanzo di Scerbanenco che ho mai letto, molto poetico e filosofico mi sono rispecchiato nel protagonista Navel e un po' anche in Giovanni e ho capito il perchè non lo evevo letto prima: semplicemente è stato il libro stesso a non farsi leggere perchè sapeva che non ero pronto all' epoca in cui lo ho comprato, non lo avrei capito e apprezzato come ora.
Un solo gravissimo difetto, fnisce (so che è una frase standard ma è la verità).
Altra cosa da dire è che è scritto veramente bene, talmente bene che leggendolo le immagini, i luoghi, i personaggi mi sembrava di conoscerli da sempre, come se avessi visto l' ipotetico film del romanzo o come se avessi visitato la grande città o i paesini con la stazione ferroviaria.
Da leggere.
Ciao a tutti!!!!

Ciao edgar, benvenuto.
Che dire, inizi con uno degli scritti più belli e significativi di Scerbanenco. Dietro questo libro c'è tanto, troverai tanti spunti validi nella discussione. Questo è certamente la più autobiografica opera scerbanenchiana, forse - è una mia opinione - una delle opere più sofferte.
Consiglio, personalissimo, per la prossima lettura (ho evidenziato in grassetto tre parole del tuo intervento...): Il Cavallo Venduto. Capolavoro assoluto.
Ciao!
 
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32 replies since 8/1/2010, 11:46   976 views
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