"STORIA DEL GIALLO ITALIANO". SCERBANENCO VISTO DA RAMBELLI, Duca cinico quasi immorale? Arthur pavido? Mah...!

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Grea[t]!
view post Posted on 14/2/2010, 14:20 by: Grea[t]!




Non c'è dubbio che un oceano divide le due ambientazioni, Boston e Milano, e non solo perchè lo dice la geografia. Boston è solo sfondo, elemento di letteratura appunto, che accompagna Jelling nelle sue indagini senza condizionarle in alcun modo. Boston è lì nelle descrizioni scerbanenchiane, ricche come sempre di particolari: i tre Clay, One, Two e Three, l’inverno gelido, l’Ape Verde e i salotti per bene dei Déravans; ma Boston non è però protagonista dei romanzi di Jelling, come è invece Milano per quelli di Lamberti, e non solo. Milano, simbolo del progresso industriale del paese, incide sulla trama e sui personaggi: ecco il crimine organizzato, i killer seriali e quelli occasionali. E non solo i romanzi di Duca fotografano questa realtà, ma molti dei romanzi urbani dello Scerbanenco maturo.
Questa realtà incide sulla trama perché ne è la trama. Come non ripensare a Ladro contro assassino, dove un’automobile - un’altra fotografia del progresso industriale potremmo pensare -, una Giulia color latte macchiato sarà lo snodo del romanzo nella parte finale. Duca, che combatte i lati oscuri di questa realtà, deve essere duro, rigido e cinico, ma solo nella lotta al male. Al contrario in molte altre occasioni, concordo con tommaso, Duca è anche un animo sensibile e fragile, un semplice uomo con una sorella e un nipotino a cui badare e con un amore nel cuore, che tristemente si pensa di non poter vivere.
Certamente questi sono aspetti non preponderanti, ma sarebbe sbagliato non porci attenzione. Parlo a ragion veduta perché io tendevo a vedere in Duca un vendicatore solitario, al confine tra bene e male, dove forse il male era presente anche più del bene. Credo che questa non sia un’interpretazione completa e quindi corretta.
Riguardo a Jelling concordo ancora con tommaso sull’aspetto del “pavido”. Vediamo perché.

“Seguite una traccia?” chiese.
“Una traccia?...No”.
“Ecco...” fece Lamarck sconcertato, ma non seppe continuare.
Un altro silenzio. Finalmente parve che Jelling si riscuotesse.
"... In Europa" disse improvvisamente, “i medici si esponevano al fuoco nemico per curare i feriti ... Nelle missioni vi sono uomini che affrontano i più terribili contagi per curare i malati...”.
Lamarck lo interruppe freddamente: “Grazie per le vostre osservazioni. Ma io non sono un missionario. Sono un dottorino in sottordine il quale desidera vivere il più a lungo possibile per provvedere al sostentamento della sua famiglia”.
Jelling non parve impressionarsi dal tono freddo, provocatorio. Qualche cosa stava montando pericolosamente dal suo spirito. Era rosso in volto, ma non di vergogna. E non guardava Lamarck mentre parlava. Parlava come a se stesso, a capo basso, senza guardare nessuno.
La medicina non è soltanto una professione” continuò imperterrito. “E’ anche una missione. In questo senso voi siete proprio un missionario, anche se voi non volete esserlo. Se volevate soltanto provvedere alle necessità della vostra famiglia, potevate scegliere un’altra professione... So benissimo che voi rischiate la vita operando Alberto Déravans, anzi dovrei dirvi sinceramente che potrete perderla senz’altro, ma siete uno dei pochi uomini al mondo che possono opereare Déravans e avete il dovere morale di farlo...”.
“... Basta! Avete capito? Ho detto basta” tuonò Lamarck alzandosi.
Anche Jelling si alzò. Forse era la prima, l’unica, l’ultima volta che agiva così in vita sua. Gli era caduto il cappello in terra e col piede lo calpestava, ma non se ne accorgeva. Evelina Soldier lo guardava, e benché presa dalla sua pena personale, pure notava benissimo quell’inusitato Jelling, che d’improvviso si spogliava di ogni timidezza e fronteggiava Lamarck a viso a viso, occhi negli occhi, le mani appoggiate sulla scrivania eppure pervase da un leggero tremolio.
“No! Non basta!” gridò Jelling, assolutamente senza timore nella voce. “Non basta! Finché tutti faranno come voi, finchè tutti si inchineranno pavidamente alla volontà di un criminale, finchè tutti vorranno far sapere attraverso i giornali, come voi, che si sono inchinati, che hanno obbedito al signor assassino, che hanno restituito un assegno in bianco e lasciato un cieco nella sua cecità, i delinquenti spadroneggeranno nella vostra vita e con una semplice telefonata, una comoda telefonata, commetteranno un delitto!... [...].
Ma voi! Ma Thesenty!... Su tutti i giornali dovreste far stampare che siete disposti ad operare Dèravans, che sfidate l’assassino, che l’attendete, che siete pronti a fargli pagare cara la sua imprudenza!... Gangsters! Verrà il giorno che saremo tutti gangsters, tanto è comodo e semplice! Un’arma anche scarica, un po’ di improntitudine, e la gente paga, paga, paga, continua a pagare fino all’ultimo centesimo, pur di vivere come talpe nelle tane, tranquilli!...”.
La voce di Jelling aveva raggiunto le sue più alte possibilità. Certamente lo udivano anche fuori dal corridoio. E il frasario aveva abbandonato i molti formalismi. I “signor”, i “professor”, i “dottor”, s’erano perduti strada facendo, nel concitato discorso.


Non credo che una siffatta persona possa essere definita pavida, e non cadete nel tranello di Giorgio, il quale ci vuole far credere che questo sia solo un episodio, un caso isolato e non conforme a colui che pronuncia tali parole. Forse il tono rimarrà episodico, ma le parole, il loro peso e la loro significato sono universali per la caratterizzazione di Arthur Jelling.
Jelling è timido, riservato, ossequioso, ma non pavido. Tanto più che questo è un Jelling agli inizi, alle prese con il suo incarico più difficile dopo che già il caso Vaton lo aveva messo a dura prova. Jelling avrà una sua evoluzione, diverrà più forte caratterialmente, arriverà a non aver più bisogno di Matchy, e questo lo abbiamo detto parlando de L’antro dei filosofi, lo stesso romanzo dove Jelling si precipita al fiume verso Leslie Steve, mostrando il distintivo, come tommaso giustamente riporta.

Da notare infine due cose:

1. Lo stile di Scerbanenco cambia di fronte all’inusitato Jelling. Ritmo incessante, proposizioni brevi e quasi tutte coordinate. Tanti punti e punti esclamativi. Banale osservazione.

2. "Gangsters! Verrà il giorno che saremo tutti gangsters" Non è forse la più sintetica descrizione della Milano di Duca? Tutti delinquenti, potenzialmente, in una società dove si può rapinare una banca anche con una pistola scarica. Non è forse il nostro mondo, oggi, e quello di Lamberti, ieri?
Scerbanenco butta l’amo, facendo intravedere quello che poi sarà, l’abbandono dell’assassino familiare, quello dei salotti bostoniani, e l’approdo alla realtà nera della società evoluta.

Edited by Grea[t]! - 14/2/2010, 17:38
 
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