Sei giorni di preavviso, Il primo caso di Jelling

« Older   Newer »
  Share  
Grea[t]!
view post Posted on 7/11/2009, 17:01




Sei giorni di preavviso è il romanzo con cui inizia la saga di Arthur Jelling, il primo vero eroe investigativo nella bibliografia di Scerbanenco.
Jelling però non ha le tipiche movenze dell’eroe poliziotto, anzi non è nemmeno poliziotto, ma semplice archivista della polizia di Boston; il suo compito è quello di controllare e organizzare, ai fini dell’istruttoria processuale, le perizie, i verbali e i rapporti che i veri agenti stilano. Soprattutto Jelling non è un uomo spavaldo, sicuro di se, fiero, non è forte fisicamente né bello. Al contrario è molto riservato, timidissimo: non c’è volta dove egli non arrossisca con educazione anche solo per uno sguardo rivoltogli. Potremmo giustamente correggerci dicendo che Jelling è più anti-eroe che eroe.
Queste sue caratteristiche delineano quella che è la sua più grande dote: l’intelligenza fervida, unita ad una logica riflessiva acutissima. Per Arthur Jelling i delitti complicati non esistono: nel misfatto, l’assassino o il criminale cerca solo di confondere le acque alla polizia, cerca in ogni modo di farla franca; ma se si guardano i fatti con razionalità, con fredda logica, allora la soluzione del mistero appare subito evidente. Essa è semplice, è chiara, perché non c’è nessuna complicazione dietro ciò che spinge l’uomo a divenire assassino o criminale.
Nei suoi casi l’archivista studia attentamente le carte, analizza in dettaglio le persone coinvolte nei fatti, raccoglie le testimonianze - gli interrogatori continui, ad ogni ora del giorno o della notte, saranno una peculiarità di Jelling - fino a giungere, implacabile, alla scoperta della verità. Non serve nient’altro che un freddo ragionamento, o quasi.
Già perché se Jelling è solo la “mente”, il fido Matchy - suo accompagnatore nelle indagini - è invece il “braccio”, cioè colui che ha il compito di far valere il distintivo. E’ colui che deve comportarsi da pubblico ufficiale: sfondare le porte, richiedere mandati di perquisizione, inseguire i sospetti, tutto ciò che Jelling non può fare, sia perché egli non è poliziotto, sia perché la sua indole non ne è capace.
In Sei giorni di preavviso l’archivista sarà chiamato dal capitano Sunder a far luce sul caso Vaton, dove una serie di minacce di morte giungono ad un vecchio attore teatrale, le cui luci della ribalta si sono da tempo spente.
Gli amanti del giallo intricato e brillante, ricco di imprevedibilità, non potranno che adorare le vicende di Jelling, divorando in serie i cinque casi che Scerbanenco ci regala.

Edited by Grea[t]! - 7/11/2009, 17:26
 
Top
L'ora d'oro
view post Posted on 15/1/2010, 12:58




Segnalo che già nel 1942 Sei giorni di preavviso era uscito in traduzione tedesca presso l'editore zurighese Albert Müller.
Titolo: Der sechste Tag (Il sesto giorno)
Traduttore: K. Hellwig
 
Top
tommaso berra
view post Posted on 15/1/2010, 13:05




anche questa copertina, caro l'ora d'oro, sarebbe meraviglioso averla insieme alle altre dei romanzi in tedesco di giorgio. al tuo buon cuore, ma senza fretta. abbiamo un grande inviato speciale in svizzera!
t.b.
 
Top
tommaso berra
view post Posted on 20/1/2010, 09:30




navigando mi sono imbattuto in questa recentissima e interessante recensione di rosario pollina sul blog terranovacaltavuturo che ritengo utile riportare.
mi ha molto colpito in particolare la concordanza con l'idea - che in qualche modo era stata esposta anche su questo forum - di uno jelling per così dire "antifascista", nel senso del "controcanto al vitalismo e alla retorica del fascismo", di cui parla pollina in modo assai convincente. interessante, ma per me tutta da verificare, l'affermazione di pollina che van dine fosse l'autore di riferimento di giorgio. su questo non saprei dire ma mi piace ricordare che dietro jelling c'è kant mentre dietro philo vance c'è nietzsche.




sabato 26 dicembre 2009
LIBRI: UN GIALLO ITALIANO DEGLI ANNI TRENTA

Giorgio Scerbanenco è noto per aver introdotto in Italia i primi noir, quei romanzi criminali densi e caliginosi che a poco a poco sono venuti estromettendo il mystery tradizionale, quale s’era codificato oltremanica e oltreoceano. Eppure Sei giorni di preavviso, la sua prima prova ora ripubblicata da Sellerio, è un giallo che più anglosassone non si può. Ma si tratta di un’ambientazione che si è dovuta acclimatare in Italia, sì che non ha niente dell’eleganza algida delle più tipiche e pretenziose detection novel. Quel che più impressiona di questo testo è l’intensa malinconia che contraddistingue Arthur Jelling, il funzionario incaricato delle indagini circa le misteriose minacce di morte contro un attore in declino, tale Philip Vaton. Il timido segugio analizza con logica implacabile ma profondamente mesta i meandri dell’animo umano, impelagandosi così, quasi senza indizio, in un groviglio ingarbugliatissimo. Quell’ometto dimesso ma compito, inappuntabile e per la verità percorso da rovelli sotterranei – la nevrosi dell’intelligenza -, è quasi un controcanto al vitalismo e alla retorica del fascismo, periodo in cui la storia è stata appunto scritta. Con affascinante elusività il giovane Scerbanenco è riuscito a sottrarsi alle maglie della censura del regime, ammiccando con trasparente anglomania alla più British delle metropoli statunitensi, la Boston raffinata ed elegante. Scegliendo questa città piuttosto che la più ovvia New York, forse egli voleva distinguersi dal suo autore di riferimento, S. S. Van Dine, che tanto successo aveva riscosso con il suo investigatore dandy Philo Vance, il quale appunto agisce nella “Grande Mela”. Rispetto a questo modello come agli altri il promettente giallista italiano ha operato per scarti, in un gioco di tradizione/innovazione: ci troviamo dunque di fronte a un’emulazione creativa che contraddistingue la narrativa poliziesca di quegli anni, ove l’esotismo e la stravaganza delle ambientazioni hanno un sapore inconfondibile. L’Italia che s’avvia alla modernità ricalca impacciata gli esempi più evoluti, anche se un autore cosmopolita come Scerbanenco è riuscito a ridurre al minimo il provincialismo. Di fatto nella sua scrittura giocano un ruolo considerevole le radici mitteleuropee, sì che Sei giorni di preavviso è un ibrido curioso: un’imitazione di un mystery anglosassone secondo un registro italiano ma su cui vagano le brume dell’Est Europa. È insomma un frutto di serra, prelibato e raro, anche per la raffinatezza dello stile, che segue la prosa d’arte degli anni Trenta. Un libro senza dubbio da riscoprire.

Rosario Pollina
Pubblicato da TerraNovaCaltavuturo a 4:18 PM
 
Top
tommaso berra
view post Posted on 20/1/2010, 09:55




p.s. a proposito dello jelling "antifascista" vorrei chiedere - in particolare a l'ora d'oro - se il nostro arthur, concepito nel '39 (venti di guerra-guerra) non rientri nella categoria scerbancheniana della "resistenza passiva".
 
Top
orrest
view post Posted on 20/1/2010, 10:22




Jelling, se ricordiamo bene, odia e stigamtizza i metodi usati dal capitano Sunder. Non approva il famigerato terzo grado della polizia di boston (che suona tanto come polizia fascista!). Il suo metodo è completamente diverso, la sua idea di giustizia persegue strade kantiane del noumeno ma anche kelseniane della grund norm (perdonatemi se scrivo male il tedesco), nel senso che concepisce la giustiza come giustificazione di una norma generale e omnicomprensiva.
 
Top
Grea[t]!
view post Posted on 20/1/2010, 14:48




CITAZIONE (orrest @ 20/1/2010, 10:22)
Jelling, se ricordiamo bene, odia e stigamtizza i metodi usati dal capitano Sunder. Non approva il famigerato terzo grado della polizia di boston (che suona tanto come polizia fascista!). Il suo metodo è completamente diverso, la sua idea di giustizia persegue strade kantiane del noumeno ma anche kelseniane della grund norm (perdonatemi se scrivo male il tedesco), nel senso che concepisce la giustiza come giustificazione di una norma generale e omnicomprensiva.

Non so quali significati filosofici possano nascondersi dietro Jelling e la sua morale - a mio avviso comunque pochi - , ma occorre precisare che non c'è tutta questa chiusura da parte dell'archivista rispetto ai metodi di Sunder. Certo Jelling ha altri modi, la sua è un'indagine psicologica più che pratica, ma nel momento in cui gli sviluppi latitano, Jelling alza la voce e diventa "sbirro". Come non pensare al forte discorso con l'ennesimo medico che dovrebbe operare Deràvans ma si rifiuta per paura, oppure ne L'antro dei filosofi Jelling avverte i suoi sospetti che se non aiuteranno le indagini saranno inevitabilmente passati a Sunder, pronto con il suo amato Terzo Grado a non avere accortezze per nessuno. Per cui secondo me non c'è tutta questa chiusura verso i metodi investigativi canonici, ma piuttosto una predilezione verso altri metodi che di poliziesco hanno ben poco.
 
Top
tommaso berra
view post Posted on 20/1/2010, 15:29




orrest ha introdotto finanche kelsen. onestamente non saprei dire, forse così lo carichiamo troppo. il riferimento a kant è invece più semplice, è lo stesso scerbanenco a fornircelo, se non ricordo male più d'una volta, cominciando col dirci che nella sua biblioteca arthur aveva tutte le opere del filosofo tedesco. quanto a sunder, non farei l'equiparazione metodi polizieschi duri-fascismo, altrimenti rischieremmo di allungare a dismisura l'elenco dei regimi fascisti. duca lamberti, ad esempio, è fautore di metodi duri, cruenti anche, ma non si può definire un investigatore fascista. naturalmente di duca lamberti dovremo ancora parlare molto. anzi, finora ne abbiamo parlato pochissimo; forse inconsciamente ci siamo buttati a capofitto nello scerbanenco meno noto proprio perché abbiamo in comune l'idea che giorgio non può essere relegato nel pur prestigioso e dorato angolo di padre del noir italiano.
e allora, per tornare a jelling, sono d'accordo con scerbancredi: non esiste una contrapposizione netta sunder-jelling. esistono tra i due personaggi metodi e sensibilità diverse.
 
Top
orrest
view post Posted on 20/1/2010, 18:56




E' vero Jelling non ottenendo risultati convincenti nella bambola cieca si affida ai metodi di sunder dei quali però ha quasi vergogna di fronte agli altri, per rispetto ai suoi di metodi che sono sottili e, a suo parere ma anche mio, molto efficaci.
Quindi, quando si lascia andare a diventare sbirro, sempre a mio modesto parere, Jellinga tocca il suo punto più basso, la sua disperazione diventano i metodi di Sunder. Ma ciò dicendo non disprezzo, né tanto meno ritengo che lo faccia il buon archivista, Sunder che è un poliziotto figlio del suo tempo e dell'educazione poliziesca di quel tempo.


Jelling, la sua morale e Kelsen?
E' un discorso lungo, provo a buttare giù qualcosa e perdonerete il disordine dei miei pensieri sparsi:

1. Quattro testi (quelli che ho letto io) ci consegnano uno Jelling che crede nella giustizia, crede nel sistema e quindi, qui penso ci entri Kelsen e la morale della grùnd norm, crede nello stato di diritto che passa attraverso l'organizzazione dello stato sotto una grande norma generale che stia sopra tutto, la verità nel suo caso che segue e persegue, anche facendo sparire il medico che dovrà effettuare l'operazione su Deravans oppure lasciando in libertà il reo confesso di "nessuno è colpevole". Non crede solo nella giustizia squisitamente giuridica, non crede nei metodi squisitamente polizieschi ma crede nella verità;

2. A mio parere, invece, c'è grande morale o meglio c'è grande etica dell'essere senza fronzoli, alla greca e non alla romana del dover essere. Quelli di Jelling non sono i mores romani ma piuttosto l'etos (non ho studiato greco) del mondo ellenico.

Uhm, sono di corsa non rileggo nemmeno.
 
Top
8 replies since 7/11/2009, 17:01   496 views
  Share