Scerbanenco, senza 'k', Note biografiche sullo scrittore

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Grea[t]!
view post Posted on 7/11/2009, 18:26




Se ci si vuole addentrare un po’ nella vita di Scerbanenco, non si può prescindere dalla lettura di Io, Vladimir Scerbanenko, appendice del romanzo Venere Privata, nell’edizione Garzanti del 1999.
Proprio lì sono contenute la gran parte delle notizie biografiche dell’autore. Quelle pagine, alla fine di un romanzo già di suo bellissimo, rappresentano più di una ciliegina sulla torta. E’ un regalo dello scrittore ai suoi lettori: Scerbanenco ci rende partecipi delle emozioni della sua infanzia e della sua adolescenza, fino al raggiungimento della fama, del successo, eppure maturato con tanta sofferenza.
Sulla scia di queste pagine segnalo alla vostra attenzione anche la parte introduttiva del racconto Annalisa ed il passaggio a livello (Sellerio 2007), dove Cecilia Scerbanenco commenta le pagine di diario del padre ritrovate tra i suoi vecchi appunti. Seconda ciliegina, mi sento di dire, di cui discuteremo nella parte riguardante Annalisa.
Queste pagine, lette e rilette insieme, sono come elementi di uno stesso mosaico e ci aiutano davvero a comprendere l’intimità di Scerbanenco.
Citate le fonti, andiamo al dunque.
Scerbanenco nasce a Kiev il 28 luglio 1911. Di madre italiana e padre russo, Scerbanenco si trasferisce in Italia quando ha appena sei mesi. L’Italia sarà la sua unica patria e l’italiano la sua unica lingua conosciuta. Nel 1921 ritorna in Ucraina dove insieme alla madre sono alla ricerca del padre, professore di latino e greco, di cui ormai non hanno più notizie. A Kiev verranno informati che egli è stato ucciso dai comunisti russi.
Scerbanenco è ancora un bambino, non è pienamente consapevole di ciò che accade intorno a lui, tuttavia nitidi rimangono in lui alcuni particolari di quella fuga: lo scoppio della mina che colpisce una delle altre due navi di profughi ritorna col tempo a fargli paura, come lui stesso racconta. Il viaggio che riporta Scerbanenco e la madre in Italia passa prima per Costantinopoli, poi per Trieste ed infine termina a Roma.
In Italia, la vita dell’autore si divide tra due città: prima Roma poi Milano. A Roma Scerbanenco si sente a casa, si sente italiano, in mezzo ai tanti cugini e zii materni egli riesce a trascorrere qualche anno di serenità dopo le sofferenze vissute.
Trasferitosi a Milano, intorno ai diciotto anni, Scerbenenco torna ad essere straniero. Tutte le persone che frequenta restano incerti di fronte a quel cognome: Scerbanenko; con quel cognome così non si può essere italiano. Non è più a casa tra le persone che conosce e che lo considerano uno di loro, è in terra straniera e per questo decide di italianizzarsi anche all’anagrafe, cambiando il nome - sceglierà al posto di Vladimir, il suo secondo nome Giorgio - e togliendo dal cognome quella 'k' tanto lontana dai suoi desideri. Adesso era Giorgio Scerbanenco.
Durante questo periodo Scerbanenco inizia a fare i lavoretti più disparati, e nel contempo si reca in ospedale a trovare la madre che si è ammalata da poco. Continua a studiare da autodidatta e nel contempo inizia a scrivere, cosa di cui la madre, anch’essa scrittrice, fu molto contenta.
Lavora per un anno e mezzo in una fabbrica milanese, nel reparto tornitura. Poi un’esperienza alla Croce Rossa, prima sul campo, dove la notte gira in ambulanza a soccorrere i malati e poi dietro una scrivania, lavoro per il quale non è tagliato.
Allo studio, però, non si sottrae mai. Così quando mangia in qualche trattoria dopo i suoi lavori, egli ha sempre in mano qualche libro di filosofia preso in prestito dalla biblioteca.
Infine "arriva". Fu assunto in redazione dalla Rizzoli che precedentemente gli aveva pubblicato una novella. E’ "arrivato", cioè la miseria e gli stenti con cui egli aveva sempre combattuto erano finiti: un buono stipendio gli consente una vita agiata e comoda. Eppure Scerbanenco non riuscirà mai a mettere da parte la povertà e la miseria del passato, perché esse rimarranno sempre impresse nel suo animo e nei suoi ricordi.
Non a caso lui stesso ammette che i protagonisti delle sue storie sono sempre i poveri, gli umili. Ed anche quando gli scritti si muovono all’interno di scenari borghesi, se non aristocratici, nell’animo di chi abita questi salotti non vi è superbia o pomposità nel vivere, anzi spesso questi personaggi saranno preda di sentimenti quali sofferenza o solitudine.
Con l’arrivo della Seconda guerra mondiale Scerbanenco si trova a dover scappare dai tedeschi, muovendosi verso il confine con la Svizzera. La fuga tra le montagne con un amico conosciuto da pochi giorni avviene con una borsa di pelle sempre stretta al petto. La borsa contiene un romanzo d’amore che Scerbanenco aveva iniziato a scrivere pochi giorni primi, e che non aveva mai abbandonato sebbene la pioggia e il terreno impervio rendessero sfiancante la fuga. Ma perché tenere con se quel peso inutile? Perché immaginare tenere storie tra uomini e donne, quando alla fine la vita non era nient’altro che guerra e paura? E’ questo che si chiede Scerbanenco mentre scappa senza una meta precisa, tra luoghi sconosciuti privi di presenza umana. Ma la risposta arriva, e senza essere pronunciata.
Una contadina con un fugace cenno riesce ad indicare ai due fuggiaschi un nascondiglio sicuro tra i cespugli. I tedeschi che erano poco dietro di loro non riusciranno a trovarli. Fu lo sguardo materno e preoccupato di quella donna a far capire a Scerbanenco il perché egli tenesse stretto al petto il suo romanzo. La vita non era la sofferenza della guerra, o almeno non solo quella. La vita era anche lo sguardo di quella donna, il gesto di silenzio che lei fece loro mentre gli indicava la via del rifugio; la vita era anche il sentimento che lo scrittore figurava nel suo romanzo.
Così finalmente egli capisce e snobba il soldato svizzero che li trasse in salvo, quando, con sguardo sorpreso, comprese che nella borsa che teneva stretta al petto non vi erano armi ma solo pagine scritte.
Finita la guerra Scerbanenco ritorna a Milano, città oramai amica, dove in breve tempo riuscì a trovare lavoro e soldi. La sua vita professionale entra in contatto con il mondo dei periodici femminili. Prima è incaricato di correggere bozze, poi inizia la scrittura di romanzi rosa che lo porteranno a raggiungere incarichi nella direzione dei periodici Bella, Novella e Annabella. Attraverso la rubrica di corrispondenza con i lettori, Scerbanenco entra in contatto con le sofferenze che gravano sull’animo umano. Si preoccupa, ad esempio, di far pubblicare in tutta fretta una risposta sul giornale, per tentare di far desistere una donna dal proposito di uccidersi. Dopo tanti scambi di lettere, la donna cominciò a vacillare, poi intimamente capì di non voler più morire e alla fine non mise in atto il suo estremo proposito.
Scerbanenco muore improvvisamente a Milano il 27 ottobre del 1969, nel pieno della sua carriera. L’anno prima, infatti, aveva vinto con Traditori di tutti il premio francese Grand prix de littérature policière, destinato al miglior romanzo straniero.
In suo onore è stato istituito il Premio Scerbanenco, il più importante riconoscimento per la narrativa gialla italiana.
 
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orrest
view post Posted on 4/12/2009, 10:22




L'ho trovato in rete stamattina, mi ha fatto accapponare la pellaccia, dura ma tuttavia sensibile ad alcuni sommovimenti sociali che lo scrivere può provocare.

CITAZIONE
Loredana Lipparoni ricorda un episodio della vita di Giorgio Scerbanenco, raccontatole da Carlo Lucarelli:

Intanto, però, vi regalo una storia che lui ha raccontato a me, e che appartiene in realtà a Giorgio Scerbanenco. Questa: "Nella sua rubrica di posta per un settimanale femminile, Scerbanenco riceve un giorno la lettera di una donna che vuole suicidarsi. Lui le scrive di non farlo, e in quella risposta mette tutta l'anima dello scrittore. Il giorno dopo legge in cronaca che la signora ha cercato di suicidarsi lo stesso. Tradimento, si dice Scerbanenco: scrivere, allora, è come mettere la mano davanti alla locomotiva. Non serve a niente. Ma non è finita. Un'altra signora, tempo dopo, gli scrive: vuole suicidarsi. Lui risponde, stavolta meno accorato: signora, non lo faccia. Lei riscrive: io lo faccio lo stesso. Lui insiste: non lo faccia. Insomma, dice infine Scerbanenco, sono tre anni che ci scriviamo, e ovviamente la signora è viva. Allora, la mano davanti alla locomotiva serve a farla almeno rallentare. Il senso della scrittura è quello, credo".

 
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1 replies since 7/11/2009, 18:26   353 views
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