Annalisa ed il passaggio a livello, e Tecla e Rosellina

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Grea[t]!
view post Posted on 10/11/2009, 17:11




Se riflettiamo sul periodo in cui è vissuto, non ci stupiremo di come sia la Prima sia la Seconda guerra mondiale entrarono prepotentemente nei ricordi e nei pensieri di Scerbanenco. Questa premessa risulta doverosa perché ci apprestiamo alla lettura delle cinque opere tutte scritte nel 1944.
Tre di queste sono racconti: Annalisa ed il passaggio a livello e Tecla e Rosellina sono entrambi contenuti nell’edizione Sellerio 2007, poi c’è Lupa in convento che si trova alla fine di Al servizio di chi mi vuole, romanzo edito da Garzanti ma non appartenente al ciclo del '44.
Gli altri due scritti sono opere di altissimo livello: Il cavallo venduto è un romanzo di fantascienza in cui Scerbanenco dipinge una desolata Italia dopo lo scoppio dell’atomica, mentre Il mestiere di uomo è un vero e proprio saggio di filosofia in cui l'autore si abbandona a riflessioni sottilissime sulla natura umana.
La pubblicazione dei tre racconti è un regalo di Cecilia Scerbanenco, la quale li ritrovò negli effetti del padre insieme ad un diario del ’47 in cui Scerbanenco appuntava riflessioni personali e spunti per articoli. L’edizione Sellerio in questione fa precedere ad Annalisa una splendida prefazione dove proprio Cecilia commenta gli appunti ritrovati, riportandone alcuni passaggi.
Si tratta di un contributo assai prezioso che aiuta a conoscere più approfonditamente Scerbanenco. Chi d’altro canto, meglio della figlia, potrebbe guidarci nella scoperta dei sentimenti dello scrittore durante quegli anni?
Durante il Primo conflitto, Scerbanenco è ancora un bambino, non è in grado di capire pienamente cosa significhi la guerra e cosa essa comporti. La Grande guerra segna comunque quel bambino, e non potrebbe essere altrimenti, ma possiamo dire che l’innocenza dell’infanzia contribuisce a mantener vivo in lui un senso di speranza che, benché lieve, rimase radicata come il ricordo della mamma che promette il ritorno del gattino, una volta tornati in Italia (il riferimento è a Ragazzo a Odessa, articolo pubblicato sul Corriere della sera e riportato nella prefazione di Annalisa).
Ma questa poca speranza svanisce del tutto con l’arrivo della Seconda guerra. Scerbanenco ha quasi trent’anni e si trova in Svizzera - rimase a Poschivo durante il ’43 e il ’44 - proprio per sfuggire all’orrore del conflitto. Adesso lui percepisce il mondo e ciò che lo circonda, così riesce a sentire forte sulla sua pelle quegli anni difficili. E’ il momento del “disincanto”, cioè il momento in cui Scerbanenco percepisce l’inconsistenza della realtà e della natura umana, e dove si interroga sui miti morali che gli uomini tramandano, ma che innegabilmente non si riscontrano nella realtà.
La speranza che lo scrittore provava, quella ritrovata nel gesto della contadina che gli salvò la vita durante la fuga in Svizzera, non è più presente nel suo animo.
Ecco allora giustificata l’incredibile crudezza di Annalisa, un racconto spietato, in cui la protagonista è davvero il ritratto dell’ultima condizione umana, quella a cui si giunge dopo che si è perso tutto, dopo che non si ha più scopo nella vita. Il racconto è l’origine del nichilismo dell’animo umano, la totale assenza del senso della vita. Il nulla lo si ritrova nell’ambientazione del racconto: una valle desolata e sperduta, il passaggio a livello e l’ingresso della galleria, dove ogni cosa che vi fa ingresso sembra scomparire per sempre. Ma il nulla è soprattutto l’esistenza in sé di Annalisa, che ormai passa le giornate dedicandosi meticolosamente al sesso. Ma l’abitudine della protagonista non ha scopo, non è né per soldi né per piacere fisico, è semplicemente un’azione meccanica, vuota, priva di senso alcuno. Annalisa non prova sentimenti, non ha affetti, solo i ricordi la tengono legata al marito morto, ma essendo crollata ogni illusione, lei sa che il marito non può tornare a casa e allora conduce così la sua vita, senza motivo. Il disprezzo verso tutto e tutti lo testimonia l’attesa della tragedia, quando Annalisa fissa il passaggio a livello sperando che il treno sfrecci proprio mentre i binari vengono attraversati da alcuni viaggiatori.
La perdita di illusioni e quindi gli scritti del ’44 risultano decisivi perché segnano un passaggio importante: quello dalla “bella pagina”, come dice Cecilia Scerbanenco, per indicare lo stile già tecnicamente impeccabile degli scritti del padre prima del ’44, alla scrittura disillusa e sostanziale dei romanzi successivi. Scerbanenco continuerà a mantenere un prosa eccezionale, fatta di magnifici ritratti descrittivi e caratterizzazioni interiori molto fini, ma aggiungerà qualcosa che prima non c’era, un solidale legame alla realtà che deriva proprio dal clima di questi anni terribili. Da questo momento in poi l’autore scriverà con una percezione diversa, che porterà alla Milano nera di Duca Lamberti, una realtà aspra e spietata, come già abbiamo avuto modo di dire, con delitti efferati e temi molto forti per quei tempi. Di sicuro non ritroviamo il “nulla” e la desolazione di Annalisa, ma certamente la psicologia di Duca nasce proprio da questo piccolo ma straordinario racconto.
Riguardo Tecla e Rosellina non c’è molto da introdurre, visto che cambiano i protagonisti, ma quello che Scerbanenco vuole trasmettere al lettore non muta rispetto al primo racconto. Qui c’è forse un passo in avanti: è il senso di profonda tristezza e solitudine di cui soffrono i protagonisti, già qualcosa rispetto alla totale assenza di sentimenti che troviamo in Annalisa.
Vi lascio alla lettura di questo splendido volume Sellerio, che davvero non può mancare nella vostra biblioteca.





 
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tommaso berra
view post Posted on 20/12/2009, 13:26




ieri sera, dopo una giornata scerbancheniana per la verità un po' fiacca - ma al momento in cui scrivo stiamo per toccare quota 1000 visite totali - ho cominciato la lettura di "annalisa e il passaggio a livello". o per meglio dire ho letto la prefazione di cecilia scerbanenco. naturalmente mi aspetto molto da "annalisa" se è vero, come dice cecilia, che debba essere considerato il romanzo della svolta, dello strappo, con cui scerbanenco abbandona i vecchi sogni borghesi per aprire lo sguardo alla verità (crudele) del mondo. mi incuriosisce molto l'affermazione di cecilia secondo cui il personaggio annalisa racchiude in nuce il futuro duca lamberti.
qui però desidero in particolare segnalare una pagina del diario di scerbanenco del '47 riportata dalla figlia (pp. 36-37 dell'edizione sellerio), quella sulle parole. scerbanenco vi sostiene che è vero scrittore colui che crea il significato delle parole. da questo punto di vista - nota scerbanenco - "tommaseo e manzoni non sono artisti perché servitori della 'lingua', ma sono artisti shakespeare e dante, perché padroni, invece, della lingua: creatori di essa".
ecco: questa stroncatura - non saprei come definirla meglio - di manzoni mi ha colpito. per certi aspetti non la capisco; sarà per la retorica manzoniana che ognuno di noi si porta dietro fin dai banchi del ginnasio. mi incuriosisce molto questo scerbanenco che "parla male di garibaldi" (manzoni è un garibaldi della letteratura italiana) e "parla bene" di dante, l'altro garibaldi. mi incuriosisce questo lombardo (ma scerbanenco possiamo considerarlo un lombardo?) che ridimensiona il "grande lombardo" proprio sul versante della lingua, che come sappiamo fu centrale per l'opera di manzoni.
mi fermo qui, sperando in qualche contributo illuminante. altre pagine riportate da cecilia scerbanenco meriterebbero discussioni (per restare in campo letterario a p. 35 la difesa che giorgio fa di faulkner criticando camus e il nostro enrico falqui definiti "chierici letterari"). ma non è bene mettere troppa carne al fuoco.

Edited by tommaso berra - 25/12/2009, 14:22
 
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Grea[t]!
view post Posted on 20/12/2009, 18:33




La risposta che cerca tommaso è dentro Annalisa, anzi è proprio Annalisa come persona nel romanzo. La stroncatura è appunto al bello stile, quello dei periodici femminili e delle pagine facili, leggere, dedicate ad un vasto pubblico e soprattutto senza pretese, se non quella di soddisfare il lettore. Adesso si scrive dopo aver sulla pelle i segni due guerre, e per troncare con lo scrivere del passato Scerbanenco torna al puro necessario: la lingua e il suo significato. Una parola non nasconde nulla, non c'è allegoria o metafora, non c'è più capacità pensante dietro a ciò che viene detto, nulla è presente nelle pagine che ti appresti a leggere, perchè a nulla, queste cose, servirebbero. E' proprio la mancanza di scopo, e quindi l'inutilità dell'esistenza che ne deriva, a rendere Annalisa l'"unicum" scerbanenchiano, con ovviamente l'inizio di un nuovo modo di scrivere, che porta a Duca e alla sua Milano nera.
 
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tommaso berra
view post Posted on 27/12/2009, 00:39




come ho anticipato in "pillole di forum", stasera ho terminato la lettura di "annalisa e il passaggio a livello" e come mi accade sempre, ho bisogno di tornarci su, di rileggerne alcune pagine, di capire meglio quel che non si capisce immediatamente nella prima lettura. è come per i film, almeno a me succede questo. ma nello stesso tempo una prima impressione ti resta appena finita la lettura. scerbancredi ha scritto in proposito una bella nota introduttiva. io per ora posso solo aggiungere che mi sono trovato di fronte ad uno scerbanenco assolutamente (per me) nuovo.
capisco che ha ragione cecilia scerbanenco quando scrive che annalisa è una sorta d'incubazione dei romanzi di duca lamberti, che hanno la stessa materia, la zona grigia che esiste in ogni essere umano ed è pronta a balzar fuori come male. resta il fatto che per storia, ambientazione, personaggi "annalisa" è un unicum dello scerbanenco che conosco. ha anche una notevole componente surrealistica che varrebbe la pena di approfondire. è inoltre, rispetto al ciclo di duca lamberti, un romanzo privo di figure etiche. ad eccezione dell'islandese gunnar? ma gunnar è un personaggio surreale.
e poi c'è questa valle desolata (valle grigionese?), simbolo del nulla, di una vita senza senso. c'è solo la villa di annalisa nella valle del passaggio a livello, non c'è una vita di comunità. le figure sociali sono lontane, remote: il curato che vuol far scacciare la "reproba" dalla valle, i gendarmi che dovrebbero arrivare per portarla via ("ed arrivarono quattro gendarmi con i pennacchi, con i pennacchi ed arrivarono quattro gendarmi con i pennacchi e con le armi", avrebbe poi cantato de andré raccontando dell'espulsione di un'altra "reproba", boccadirosa. chissà che fabrizio non avesse letto "annalisa"). ma in che paese è ambientato "annalisa", dove un curato, che non compare se non come entità potente e minacciosa, può muovere la forza pubblica per scacciare una donna "di facili costumi"? a che cosa allude scerbanenco?
sì, va bé, ma ti è piaciuto? direte voi. ne consiglieresti la lettura? rispondo: perbacco, mi sembra un gioiello. e poi: è uno scerbanenco di cui non puoi dire che genere è. ammesso che abbia senso questa storia dei generi. ed anche di questo dovremmo parlare, perché ho l'impressione che siano discussioni datate. non vorrei sbagliare (l'ora d'oro e marianna de leyva possono confermarlo o smentirmi), ma c'è un retaggio crociano che in questo caso pesa. mi rendo conto a questo punto che sto perdendo il filo del discorso e quindi data l'ora mi fermo.
ma "annalisa" vale la pena di leggerlo.
 
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tommaso berra
view post Posted on 29/12/2009, 19:55




p.s. dopo aver letto "annalisa" devo rettificare una sciocchezza da me scritta, sia pure con la formula dubitativa, nella lettera che ho inviato a scerbancredi per il primo mese di vita di questo forum (vedi sezione biografia - la fuga in svizzera): che "annalisa" fosse il romanzo d'amore che giorgio portava con sé nella valigetta quando nel settembre '43 varcò il confine. sciocchezza per il semplice motivo che "annalisa" non è un romanzo d'amore. è un romanzo d'angoscia. cecilia scerbanenco ha parlato, a proposito di "annalisa", di disincanto. e scerbancredi ha ripreso questa parola estendendola a tutti i romanzi del '44. credo abbia fatto un'ottima scelta, dico credo perché non li ho ancora letti. ma a voler essere pignoli, per quanto riguarda "annalisa e il passaggio a livello", il termine disincanto rischia di essere un eufemismo. più che di disincanto dovremmo parlare di nichilismo. o quantomeno di un disincanto che genera il nichilismo.
 
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Grea[t]!
view post Posted on 29/12/2009, 21:04




CITAZIONE (tommaso berra @ 29/12/2009, 19:55)
p.s. dopo aver letto "annalisa" devo rettificare una sciocchezza da me scritta, sia pure con la formula dubitativa, nella lettera che ho inviato a scerbancredi per il primo mese di vita di questo forum (vedi sezione biografia - la fuga in svizzera): che "annalisa" fosse il romanzo d'amore che giorgio portava con sé nella valigetta quando nel settembre '43 varcò il confine. sciocchezza per il semplice motivo che "annalisa" non è un romanzo d'amore. è un romanzo d'angoscia. cecilia scerbanenco ha parlato, a proposito di "annalisa", di disincanto. e scerbancredi ha ripreso questa parola estendendola a tutti i romanzi del '44. credo abbia fatto un'ottima scelta, dico credo perché non li ho ancora letti. ma a voler essere pignoli, per quanto riguarda "annalisa e il passaggio a livello", il termine disincanto rischia di essere un eufemismo. più che di disincanto dovremmo parlare di nichilismo. o quantomeno di un disincanto che genera il nichilismo.

Credo, e sottolineo credo, che il romanzo nella borsa di Scerbanenco durante la fuga in Svizzera fosse Non rimanere soli e non Annalisa. Provo a ritrovare la fonte del mio ricordo.

Trovato:

CITAZIONE (Grea[t]! @ 21/11/2009, 15:58)
Escono da Sellerio i racconti di guerra dello scrittore milanese: pubblicati nel 1946 non erano mai stati ristampati.

I GIALLI ANTINAZISTI DELL' "INDIFFERENTE" SCERBANENCO.

I quattro episodi nascono sotto il segno di un’avversione totale quasi parossistica verso i tedeschi.


La pattuglia di soldati svizzeri che lo fermò cercando armi nascoste o documenti compromettenti, rimase stupita di trovarsi al cospetto d'un embrione letterario. Era il romanzo sentimentale Non rimanere soli che Scerbanenco finì nel campo svizzero di Busserach. Una storia malinconica, patetica, contro la solitudine, l’odio, la misantropia. Uscì nel luglio 1945, quando Milano, l'amata Milano, era un cumulo di macerie.

BRUNO VENTAVOLI

E' stato Ventavoli a dirci il romanzo che Scerbanenco portava con se durante la fuga: Non rimanere soli.

Edited by Grea[t]! - 30/12/2009, 16:10
 
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tommaso berra
view post Posted on 2/1/2010, 18:09




ecco dove l'avevo letto quale fosse il dattiloscritto che scerbanenco portava con sé al momento della fuga in svizzera. ventavoli ci dice "non rimanere soli". ma dobbiamo credergli? qual è la sua fonte? non ce la fornisce. grato a scerbancredi per averci ri-segnalato l'articolo di ventavoli, devo dire che esso non mi convince. sto leggendo "non rimanere soli" in questi giorni. poco fa, in treno, ho finito il primo capitolo, la storia di federico navel. non mi pare che si possa definire un romanzo d'amore, dolciastro, in cui si parla di "stupidi sentimenti" femminili (vedi "io vladimir scerbanenko" e "viaggio in una vita"). è un romanzo sulla solitudine, sulla morte lontani dalla patria e da chi si ama. un romanzo a tratti cupo (sto parlando sempre della prima storia intitolata "prima notte"). e poi: se fosse vero che il dattiloscritto nella valigetta è "non rimanere soli", scerbanenco, che varca il confine svizzero mi pare il 14 settembre del '43, lo avrebbe scritto a ridosso dell'8 settembre (e mi pare improbabile) o addirittura prima dell'armistizio. in questo caso, a mio avviso ancor più improbabile, saremmo di fronte ad uno scerbanenco antivedente del corso della storia. c'è poi da considerare che in "prima notte" scerbanenco racconta, romanzandola, la sua fuga in svizzera: federico navel è scerbanenco. quindi lo scrittore non poteva avere nella valigetta quel romanzo.
a questo punto mi chiedo se non abbiano ragione quanti (l'ora d'oro tra questi) ipotizzano che anche in "io, vladimir scerbanenko" possano esserci elementi romanzeschi come l'incontro con la contadina, di cui abbiamo già discusso altrove nel forum, e, appunto, il dattiloscritto nella valigetta da ragioniere. io sono portato a credere alla storicità degli episodi autobiografici raccontati in "io, vladimir scerbanenko" e in "viaggio in una vita". sono portato cioè a dare credito allo scrittore quando afferma (traggo la citazione dalla prefazione di ermanno paccagnini a "non rimanere soli"): "io ho scritto moltissimi romanzi, ma neppure con la migliore volontà potrei raccontare cose romanzesche sul mio conto". ma se è così, dubito fortemente che il dattiloscritto di cui si parla nelle note autobiografiche sia quello di "non rimanere soli", per i motivi che ho cercato di illustrare, con la speranza di essere stato chiaro.
 
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Grea[t]!
view post Posted on 2/1/2010, 20:20




CITAZIONE (tommaso berra @ 2/1/2010, 18:09)
ecco dove l'avevo letto quale fosse il dattiloscritto che scerbanenco portava con sé al momento della fuga in svizzera. ventavoli ci dice "non rimanere soli". ma dobbiamo credergli? qual è la sua fonte? non ce la fornisce. grato a scerbancredi per averci ri-segnalato l'articolo di ventavoli, devo dire che esso non mi convince. sto leggendo "non rimanere soli" in questi giorni. poco fa, in treno, ho finito il primo capitolo, la storia di federico navel. non mi pare che si possa definire un romanzo d'amore, dolciastro, in cui si parla di "stupidi sentimenti" femminili (vedi "io vladimir scerbanenko" e "viaggio in una vita"). è un romanzo sulla solitudine, sulla morte lontani dalla patria e da chi si ama. un romanzo a tratti cupo (sto parlando sempre della prima storia intitolata "prima notte"). e poi: se fosse vero che il dattiloscritto nella valigetta è "non rimanere soli", scerbanenco, che varca il confine svizzero mi pare il 14 settembre del '43, lo avrebbe scritto a ridosso dell'8 settembre (e mi pare improbabile) o addirittura prima dell'armistizio. in questo caso, a mio avviso ancor più improbabile, saremmo di fronte ad uno scerbanenco antivedente del corso della storia. c'è poi da considerare che in "prima notte" scerbanenco racconta, romanzandola, la sua fuga in svizzera: federico navel è scerbanenco. quindi lo scrittore non poteva avere nella valigetta quel romanzo.
a questo punto mi chiedo se non abbiano ragione quanti (l'ora d'oro tra questi) ipotizzano che anche in "io, vladimir scerbanenko" possano esserci elementi romanzeschi come l'incontro con la contadina, di cui abbiamo già discusso altrove nel forum, e, appunto, il dattiloscritto nella valigetta da ragioniere. io sono portato a credere alla storicità degli episodi autobiografici raccontati in "io, vladimir scerbanenko" e in "viaggio in una vita". sono portato cioè a dare credito allo scrittore quando afferma (traggo la citazione dalla prefazione di ermanno paccagnini a "non rimanere soli"): "io ho scritto moltissimi romanzi, ma neppure con la migliore volontà potrei raccontare cose romanzesche sul mio conto". ma se è così, dubito fortemente che il dattiloscritto di cui si parla nelle note autobiografiche sia quello di "non rimanere soli", per i motivi che ho cercato di illustrare, con la speranza di essere stato chiaro.

Che dire, tommaso.
Anche io ho pensato alle tempistiche della fuga e a come fosse possibile che il romanzo che racconta la fuga in Svizzera era anche poi il romanzo della fuga in Svizzera. Non sapendo la verità, mi sono limitato a riportare Ventavoli, che se però è in errore, avrebbe commesso davvero un errore non da poco.
Per quel che riguarda Non rimanere soli, il cui intervento è in via di sviluppo poichè ben ragionato, posso dire che è senza dubbio un romanzo di emozioni forti. Sdolcinato no di certo, ma fortemente emorivo si. E sono emozioni non del tutto tristi e negative, come quelle tipiche che la guerra porta nel cuore delle persone, separandole, ma trovo che Scerbanenco scriva anche emozioni positive, gioiose e allegre, quelle che, nonostante tutto, i tre protagonisti si porteranno sempre dietro, anche se lontani l'uno dall'altro. Te ne accorgerai con la lettura, sono certo.
 
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tommaso berra
view post Posted on 2/1/2010, 20:48




CITAZIONE (Grea[t]! @ 2/1/2010, 20:20)
CITAZIONE (tommaso berra @ 2/1/2010, 18:09)

Che dire, tommaso.
Anche io ho pensato alle tempistiche della fuga e a come fosse possibile che il romanzo che racconta la fuga in Svizzera era anche poi il romanzo della fuga in Svizzera. Non sapendo la verità, mi sono limitato a riportare Ventavoli, che se però è in errore, avrebbe commesso davvero un errore non da poco.
Per quel che riguarda Non rimanere soli, il cui intervento è in via di sviluppo poichè ben ragionato, posso dire che è senza dubbio un romanzo di emozioni forti. Sdolcinato no di certo, ma fortemente emorivo si. E sono emozioni non del tutto tristi e negative, come quelle tipiche che la guerra porta nel cuore delle persone, separandole, ma trovo che Scerbanenco scriva anche emozioni positive, gioiose e allegre, quelle che, nonostante tutto, i tre protagonisti si porteranno sempre dietro, anche se lontani l'uno dall'altro. Te ne accorgerai con la lettura, sono certo.

è certamente come dici tu. ma io sono influenzato da "prima notte". c'è qualcosa che mi ricorda "annalisa" e ne parlerò nella sede opportuna. quanto a ventavoli, che dire? semplicemente che dovrebbe darci la fonte di quel che afferma. e se la fonte fosse nunzia monanni, verificarla attentamente visto che siamo nel periodo svizzero di cui la monanni, come mi pare ci abbia detto l'ora d'oro, ammetteva di non sapere praticamente niente, perché giorgio non amava parlarne.
 
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tommaso berra
view post Posted on 3/1/2010, 00:40




vorrei tornare ad "annalisa" e alla sua "corta e tisica vallata" con qualche riflessione estemporanea. romanzo del nulla, romanzo d'angoscia, di grandi silenzi e di snervanti attese. la stessa angoscia, lo stesso silenzio, le stesse attese ho trovato, leggendolo anni fa e rileggendolo in questi giorni, ne "la promessa" (1958) di friedrich durrenmatt, il grande durrenmatt. un romanzo affatto diverso da "annalisa", ma che con "annalisa" ha - a mio avviso - questi punti di contatto ed in comune il paesaggio, lo sfondo. "la promessa" è ambientato tra zurigo e coira, soprattutto nei grigioni. credo che quella dei grigioni - ma l'ora d'oro potrà naturalmente smentirmi ed io accetterei il suo giudizio come una sentenza della cassazione - sia l'ambientazione di "annalisa" anche se scerbanenco non ce lo dice (scrisse il romanzo tra poschiavo, magliaro e coira da maggio a novembre del 1944). in entrambe le opere c'è poi un'aperta sottolineatura critica di una società bigotta. le pagine di durrenmatt in proposito sono memorabili. ed anche ne "la promessa" c'è, sia pure raccontata di sfuggita, la storia di una donna scacciata dalla comunità per i suoi costumi dissoluti, una prostituta allontanata dal cantone di zurigo "benché a parte il suo mestiere non ci fosse niente da eccepire nei suoi confronti".
in un precedente intervento - ed è la seconda riflessione estemporanea che desidero proporvi - ho parlato dell'assenza di figure morali in "annalisa", ad eccezione di gunnar, che è però - dicevo - un personaggio surreale. figure morali anche nel senso di persone che coltivano un progetto, una speranza, un'idea di razionalità. forse sono stato precipitoso. avrei dovuto aggiungere - ma la sostanza resta la stessa - il dottor pangloss (già, pangloss, come il precettore di candide in cui voltaire adombra ironicamente leibniz, il filosofo del "migliore dei mondi possibili", ed ecco che spunta sempre la passione filosofica di scerbanenco) che come gunnar vorrebbe sposare e redimere annalisa. ma gunnar e pangloss sono dei perdenti. in "annalisa e il passaggio a livello" trionfa il cupo nichilismo. quello in cui vivono i personaggi di "annalisa" non è certo "il migliore dei mondi possibili". e sappiamo il perché.

Edited by tommaso berra - 4/1/2010, 10:16
 
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L'ora d'oro
view post Posted on 5/1/2010, 11:36




Mamma mia, quanta carne al fuoco! Mi ero perso questi vostri interventi; grazie a Tommaso per avermeli indicati!
Tocco solo tre argomenti, tra i tanti possibili.

a) Federico Navel è Scerbanenco? Suggerisco molta prudenza. Attenzione alle letture autobiografiche! Possono essere fuorvianti. Ma attenzione anche alle letture referenziali (dov'è ambientato il romanzo? chi è questo personaggio nella vita reale? ecc.). Questa lettura, benché sollecitata da una legittima curiosità, porta con sé il rischio di travisare un testo letterario. Certo ci sono degli influssi, delle ispirazioni, ma bisogna stare attenti a non forzare la mano. Rinvio in proposito al saggio appena uscito con gli atti di un convegno tenutosi in Francia nel marzo del 2008:

Andrea Paganini, "Non rimanere soli" di Giorgio Scerbanenco, in Il romanzo poliziesco, la storia, la memoria, a c. di Claudio Milanesi, Astraea, Bologna 2009, pp. 103-133.

b) Qual era il manoscritto portato con sé da Scerbanenco durante la fuga in Svizzera? Riporto un breve stralcio dal saggio appena citato:

«Nel racconto autobiografico della sua fuga in Svizzera, Scerbanenco narra di aver portato con sé il manoscritto di un romanzo[1]:

Un romanzo d'amore. Avevo continuato a scriverlo fino a due giorni prima. C'era la guerra, i bombardamenti, i tedeschi che arrivavano dilagando da per tutto come le cimici sulla brandina in cui dormivo anni prima all'albergo popolare, ma io scrivevo romanzi d'amore, donne dolcissime, uomini forti e leali, un po' di cattiveria, ma infine sempre tenerezza, tanta tenerezza.

Ora, ammesso che effettivamente il romanzo in questione - iniziato ma non ancora portato a termine: «un centinaio di cartelle» - abbia fatto con l'esule il viaggio d'espatrio, di quale romanzo si tratta? Vista la descrizione fornitane - a distanza di vent'anni, però! - verrebbe da pensare proprio a Non rimanere soli. (Fra l'altro è con queste parole, «un romanzo di donne dolcissime, uomini forti e leali, un po' di cattiveria, ma infine tanta tenerezza», che viene presentato Non rimanere soli sul retro di copertina dell'edizione più recente).

Senonché, a questo punto, dagli scritti di Scerbanenco fanno capolino due manifeste incongruenze, difficilmente spiegabili:

1) se è vero che la vicenda narrata in Non rimanere soli, e in particolare la Prima notte, è stata modellata sulla traccia dell'esperienza biografica dell'Autore in esilio, essa non può risalire a un periodo antecedente la sua stessa fuga in Svizzera;

2) sempre ammesso che effettivamente la vicenda di Federico Navel (esule ospitato dalle sorelle Mager) sia stata scritta sul solco dell'esperienza dell'Autore (esule ospitato dalla famiglia Bannwart a Soletta), il 10 dicembre del 1943 Scerbanenco non poteva aver finito il suo romanzo – e, anzi, già averlo proposto a un editore di Zurigo –, come sostiene[2], perché sappiamo che soltanto a partire dal 20 dicembre di quell'anno egli è stato ospite della famiglia Bannwart.

Si può risolvere la seconda incongruenza, ritenendo che il romanzo Non rimanere soli che Scerbanenco in data 10 dicembre 1943 dice di aver finito e consegnato all'editore Albert Müller sia stato in realtà una prima versione, poi riveduta e portata a termine nella forma definitiva nei due o tre mesi successivi, integrandovi le vicende di primo piano. Analogamente – ci sembra – va risolta la prima incongruenza: è possibile che il romanzo inizialmente concepito in Italia abbia contemplato soltanto i brani di flashback (il passato dei tre protagonisti). Ciò spiegherebbe come Non rimanere soli sia potuto essere terminato in tempi così brevi, anche nelle circostanze precarie di un campo profughi o comunque in terra d'asilo.

Oppure il romanzo che Scerbanenco portava nella borsa era un altro, magari successivamente andato smarrito.

Oppure ancora - e anche questa non ci sembra un'ipotesi da scartare a priori - il fuggiasco Scerbanenco, in quel rocambolesco viaggio del 20 e del 21 settembre 1943, non portava con sé nessun romanzo. Non rimanere soli sarebbe stato scritto sull'onda emotiva dell'esilio in pochi mesi. E unicamente per raggiungere un certo risultato di poetica nel racconto della fuga, scritto negli anni Sessanta, vi avrebbe inserito l'episodio del manoscritto tratteggiato in modo tale che facesse pensare a un romanzo nato effettivamente più o meno in quel periodo».

[1] Il racconto si trova nella settima e ultima parte di Io, Vladimir Scerbanenco ed è stato in seguito riproposto dall’Autore come brano d’apertura di Viaggio in una vita, rispettivamente in appendice a Venere Privata, Milano, Garzanti, 2002, pp. 247-251, e in appendice a Il falcone e altri racconti inediti, Milano, Frassinelli, 1993, pp. 140-143.

[2] Cfr. la lettera di Scerbanenco all'Ufficio cantonale per il lavoro di Soletta del 10 dicembre 1943 (ora in Lettere sul confine), nella quale egli chiede l'autorizzazione a pubblicare il romanzo.

c) Annalisa (sulla cui genesi ci sarebbe molto da portare alla luce e che comunque mi lascia un po' perplesso) e Dürrenmatt
È vero, il romanzo La promessa è ambientato in gran parte a Coira e dintorni.
(Una curiosità, tra parentesi: esistono due trasposizioni cinematografiche; io preferisco la prima; quando la vidi, anni fa, rimasi colpito e dovetti sobbalzare sulla sedia, perché... il criminale, nel film, abitava a casa mia!!!)
L'ambientazione di Annalisa: attenzione: Magliaro non esiste! Si tratta di Magliaso, in Ticino, dove Scerbanenco trascorse un periodo terribile della sua esistenza.
Per il resto mi trovo abbastanza d'accordo con le riflessioni di Tommaso.
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma per ora mi limito a segnalarvi che nel libro fresco di stampa L'ora d'oro di Felice Menghini (L'ora d'oro, Poschiavo 2009) si trovano ben tre saggi su Scerbanenco: uno di Gian Paolo Giudicetti, uno di Jane Dunnett e uno di Paolo Lagazzi. In quest'ultimo, intitolato Scerbanenco: la guerra nel cuore, c'è una riflessione molto interessante su varie opere letterarie del periodo svizzero, e anche su Annalisa e il passaggio a livello.
Grazie e... parliamone ancora!
Ciao e buon anno a tutti!
 
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tommaso berra
view post Posted on 5/1/2010, 11:49




l'ora d'oro "si lamenta" per la troppa carne al fuoco e poi infilza nello spiedo un bue intero!!! colgo l'occasione, rubando il mestiere al nostro capocomico scerbancredi, per ricordargli che quando c'è qualcosa di nuovo nel forum, la pallina grigia a sinistra di ogni sezione diventa gialla. letta la novità, torna grigia.
 
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tommaso berra
view post Posted on 5/1/2010, 13:33




una sola domanda a l'ora d'oro per incominciare: puoi spiegarci le tue perplessità su "annalisa"?
 
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L'ora d'oro
view post Posted on 5/1/2010, 14:13




... "per incominciare", eh!
Beh, "per cominciare", Tommaso, hai colto un punto assai difficile:
- perché il mio ragionamento necessiterebbe di una lunga spiegazione che non riesco ancora a svolgere qui:
- perché dovrei parlare di materiale di cui per ora non posso parlare;
- perché non ho ancora una chiave di lettura completamente convincente e sostenibile (e non sono sicuro che Scerbanenco stesso l'abbia avuta: mi pare significativo che, pur potendolo fare, Scerbanenco non abbia mai pubblicato questo racconto lungo o romanzo breve).
Comunque, una parola importante l'hai detta tu: "nichilismo".
La parola "disincanto", invece, non mi convince del tutto, perché presuppone un'epoca dell'"incanto"; e non sono sicuro che tale epoca sia esistita in Scerbanenco, perlomeno nel senso esistenziale del termine. "Disillusione"? Non so. Comunque io rilevo somiglianze (ma solo parziali) con questo testo nei coevi Tecla e Rosellina e Lupa in convento (fino a poco tempo fa tutti e tre inediti).
Distinguerei invece nettamente, per quanto pressoché coevi anch'essi, Non rimanere soli e Il mestiere di uomo. Ma, per quanto più ottimisti, non credo che essi siano testi dell'"incanto".
Un discorso a sé va fatto, credo, per Il cavallo venduto.

"Per cominciare", nell'attesa di esprimere un pensiero compiuto mio, riporto un brano dell'articolo di Gian Paolo Giudicetti, tratto dal suo saggio intitolato I polizieschi di Scerbanenco degli anni Quaranta e il poliziesco italiano di oggi e contenuto in L'ora d'oro di Felice Menghini (fresco di stampa):

«Annalisa e il passaggio a livello, racconto (...) nel quale abiezione e cinismo sono ben ritratti, ma il contraltare giudicante di quell’abiezione e cinismo è assente e il testo non risulta né compassionevole né sdegnato, bensí indifferente di fronte a personaggi femminili (l’io Annalisa e la sua serva ninfomane Marta, che "finiva per eccitarsi anche davanti a un garofano") aridi, che non stanno alla radice né di una profonda comicità, né di una riscoperta, attraverso una crisi, della lucidità» (p. 146).

E poi un brano di Paolo Lagazzi, tratto dall'articolo Scerbanenco: la guerra nel cuore, contenuto nello stesso volume uscito a cento anni dalla nascita di Menghini.

«Annalisa e il passaggio a livello è (...) il più “maledetto” tra i romanzi svizzeri di Scerbanenco: un libro quasi programmaticamente giocato sul filo della malvagità. Del cinismo, la vedova Annalisa si è fatta un vessillo: nulla per lei ha valore, e i corpi (indifferentemente maschili e femminili) con cui si congiunge non sono che occasioni di un piacere risibile e falso, trastulli grezzi e vacui, oggetti di scherno. Il sentimento primo che ritma i suoi giorni è un odio sordo per tutti gli esseri umani a partire dal padre, che definisce "il cretino cogitante" per i suoi studi filosofici. Quest’odio continuo trova una specie di sollievo unicamente nelle fantasie omicide da lei coltivate, nell’attesa che qualcuno, prima o poi, venga
maciullato dal treno che passa accanto alla villetta in cui abita. (...) Capace di provocare le nostre false certezze, il romanzo suscita e tollera letture diverse» (pp. 175-176).

Ma poi è molto interessante leggere lo sviluppo dell'interpretazione del bravissimo Paolo Lagazzi, che evidentemente non posso riportare per esteso!

Edited by L'ora d'oro - 5/1/2010, 14:45
 
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tommaso berra
view post Posted on 5/1/2010, 14:34




le importanti indicazioni di l'ora d'oro ripropongono prepotentemente uno dei nostri motti preferiti, quello delle quattro esse: studiamo, studiamo, studiamo scerbanenco. con l'aiuto di l'ora d'oro sarà più semplice e piacevole.
 
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36 replies since 10/11/2009, 17:11   774 views
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