| In tema di curiosità biografiche posso riportare le parole dello scrittore che ci possono aiutare a comprendere lo stato d'animo di Scerbanenco tra il '43 e il '45, gli anni terribili che portarono alle opere del disincanto, di cui presto riprenderemo il filo quando vi proporrò un breve quadro de Il cavallo venduto. Del '43 è anche Non rimanere soli, che sto iniziando a leggere. Anche questo romanzo si presta molto bene al concetto del disincanto che ho già descritto in Annalisa, ma è un libro la cui importanza è collegata soprattutto ai contenuti biografici dell'opera che saranno utilissimi per tappare - speriamo - i buchi della vita dello scrittore. Allora se tommaso berra ci chiedeva e si chiedeva del rapporto tra Scerbanenco e il comunismo, io gli rispondo, per il momento, con le parole dell'autore, che descrivono il rapporto tra Scerbanenco e il nazismo. Per il momento accontentiamoci. Prima di iniziare la narrazione di Non rimanere soli, l'autore scrive una pagina al lettore:
"[...] L'autore deve poi dire che avendo dovuto obbedire alle minuziose prescrizioni di polizia del paese in cui ha trascorso l'esilio dal '43 al '45, è stato costretto a mantenersi, per certi riguardi, su una linea di ipersensibile neutralità, specialmente per i nomi dei protagonisti, dei luoghi. Resti a ogni modo ben chiaro che i nomi dei protagonisti, come si intuisce subito, dovrebbero essere italiani, e che il nemico è il tedesco, il quale è stato la bestia feroce che tutti sanno. L'autore avrebbe potuto riscrivere il romanzo, cambiando i nomi e mostrando il vero volto del nazifascismo, quello dell'eccidio di piazzale Loreto a Milano o del campo di Buchenwald. Ma allora l'opera sarebbe divenuta un romanzo verista, o politico, o storico, invece di essere l'ingenua favola che è, non contaminata da nessun rimaneggiamento a scopo letterario."
E se il grassetto l'ho aggiunto io per sottolineare il pensiero di Scerbanenco, si deve dire parimenti che è lui stesso a lasciare il termine 'nemico' in caratteri normali, non corsivi, quasi a voler entrare ancora più in profondità, come una lama nel burro, dentro l'orrore nazista del Secondo conflitto. Scerbanenco chiude poi mirabilmente, come il suo spessore gli consente. Dice che la sua rimane un' "ingenua favola", che volutamente non è stata ritoccata per fare un attacco politico e sociale ad un regime, e questo perchè Scerbanenco - almeno a me piace pensarlo - non vuole dare ai tedeschi questa soddisfazione. Lui che ha sempre scritto quello che la mente gli diceva non modificherà il suo romanzo e quello che era il suo scopo originario. Ma sia ben chiaro che il messaggio di chi sia il nemico passa fortissimo, anche se non detto esplicitamente.
Edited by Grea[t]! - 8/1/2010, 12:10
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