Gli anni dei buchi neri. Il mio Scerbanenco segreto, Tuttolibri (La Stampa), 28 Ottobre 1995, Bruno Ventavoli

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Grea[t]!
view post Posted on 23/11/2009, 21:19




GLI ANNI DEI BUCHI NERI. IL MIO SCERBANENCO SEGRETO

La vedova racconta: la prima moglie, i nazisti e la fuga in Svizzera.



TRE notti di ricordi. Tre vite spezzate. Un amore e un’amicizia cancellati dalla guerra. Poi i partigiani, i bombardamenti, l’invasore nazista. Non rimanere soli è uno dei romanzi più anomali e imprevedibili di Giorgio Scerbanenco. Uscì subito nel ‘45 e ora viene riproposto dal Melangolo (pp. 298, L. 26.000). Insieme con il folgorante e crudele Lupa in convento (La Vita Felice, pp. 59, L. 10.000, a cura di Oreste del Buono) apre un piccolo squarcio sul silenzio che lo scrittore italiano di Kiev usò per blindare la sua vita dal ‘43 al ‘45. Nella riscoperta di Scerbanenco c’è anche da segnalare uno sceneggiato in 7 puntate per la Rai, liberamente ispirato al personaggio di Duca Lamberti, interpretato da Gene Gnocchi.
“Dopo l'8 settembre Giorgio fuggì in Svizzera, era assediato dall’orrore, spaventato dalle distruzioni. La sua casa vicino al Duomo venne rasa da un bombardamento. Da bambino aveva visto troppo odio e sperimentato sulla pelle troppa miseria per resistere ancora”, dice Nunzia Monanni, seconda, amatissima moglie di Scerbanenco, e figlia dell’editore. Sulla parete, un disegno che Carrà regalò al padre, “all'amico Giuseppe”. Quando “la Patria fu invasa dal nemico tedesco”, Scerbanenco fuggì in Svizzera. La prima moglie, Teresa Bandini, dalla quale si stava separando, gli procurò un alloggio presso due sorelle amiche. Varcò il confine per le montagne. Nello zaino cento cartelle di un romanzo d'amore che stava scrivendo. Addosso un elegante completo color cammello inzuppato di pioggia e fango. “Dei due anni svizzeri non volle più discutere - dice la vedova Scerbanenco -. Era fatto così non parlava mai del passato, guardava solo al futuro. Ignoro praticamente tutto di quel buco nero”. E allo zelo iconoclasta nei confronti del passato, sono scampate poche cose. I mobili “old America”, gli amati orologi (ne aveva indosso sempre tre) e le pendole, le macchine fotografiche. I romanzi (oltre cento), i ricordi di antichi amori, gli appunti, gli scritti che consegnava senza correzioni alla tipografia, sono andati quasi tutti perduti. Ecco perché la ristampa di vecchie opere è quasi come la ristampa di un inedito.
“In Svizzera prima fu ospitato in un campo per profughi stranieri, e fu abbastanza grama - dice Nunzia Monanni -. Poi ritornò lentamente alla vita che conduceva a Milano, alloggiato tra Coira e Davos. Era un brillante giornalista e voleva soltanto scrivere. Collaborò ai fogli che altri esuli italiani stampavano. S’incontrava con Montanelli, Vergani, con l’agente letterario Linder. Scrisse cinque polizieschi ambientati a Boston che dopo la guerra uscirono nei gialli Mondadori e che Frassinelli sta per ripubblicare”. Una volta lo andò a trovare anche l’editore Luigi Barzini jr. Lo sappiamo dal racconto autobiografico Viaggio in una vita (contenuto ne Il falcone e altri racconti, Frassinelli). Di quel giorno ricorda una farfalla posata sui binari del treno. Una scheggia surreale nel mondo dilaniato dalla guerra.
“Dalla Svizzera si portò dietro un grande odio per la montagna - ricorda ancora Nunzia Monanni Scerbanenco-. Da allora andammo solo al mare. Comprammo una casa a Lignano Sabbiadoro”. “I romanzi della guerra sono cupi, pessimisti sull’animo umano - dice la figlia Cecilia che sta scrivendo una biografia del padre -. Rivelano un aspetto segreto di Scerbanenco, totalmente rimosso negli Anni 50”. Lo scrittore era antifascista, ma non militante. Odiava la “bestialità nazista” ma poi nei racconti sapeva assolvere i singoli soldati tedeschi, capaci anche di gentilezza, attenzioni, nonostante le aspre regole del combattere. In un’agenda del ‘46, l’unica scampata alla frenesia d’oblio dello scrittore, Scerbanenco annota giudizi durissimi sulla Germania hitleriana. Ma condanna, altrettanto duramente, l’Unione Sovietica. “Aveva visto da vicino le due facce del male, il totalitarismo rosso e quello nero - dice Cinzia Monanni -. Sperava che anche Stalin, prima o poi, crollasse”. Talvolta, nelle pagine dei romanzi, affiorano schegge della Russia di Pietro il Grande. Ufficiali zaristi belli d’onore e di sventura. Ma è una nostalgia immaginaria, perché Scerbanenco nacque a Kiev nel 1909, e vi restò pochi mesi. “Suo padre era un professore di greco e latino all'università di Kiev. Un raffinato intellettuale che Gorkij cita in una lettera. Quando i rossi presero la città lo fucilarono. Sua madre andò a cercarlo nel ‘21, col piccolo Giorgio, e rischiarono di essere bloccati dalla feroce burocrazia sovietica. Da allora Scerbanenco odiò il comunismo. La nonna era una nobile, e attraverso i racconti di famiglia probabilmente sviluppò un rimpianto per la Russia zarista”.
Non rimanere soli uscì nell’Italia della liberazione. Parla di partigiani, sfiora la ferocia nazifascista. Ma nella letteratura resistenziale d’allora, dominata dallo stile di Calvino, Fenoglio, Pavese, si allontana singolarmente da ogni intento “politico” o “storico”. Parla di cuori, di amore, di solitudine. Miscela la guerra con i famigliari toni del rosa. Vuole essere un’ “ingenua favola” che spia gli individui dietro la Storia per spiegare che la solitudine è dolore, disamore, perfino superbia, che “la misantropia è immorale, su di essa germogliano le guerre”. Molti sono gli elementi autobiografici. L’amore per i cani (ne aveva cinque nella casa vicino al Duomo). La passione per il cinema, unica finestra aperta sul mondo nell’Italia fascista, dai balli di Ginger Rogers alle paurose scorrerie del dottor Mabuse. La dolorosa morte della madre. C’è il canottaggio, osservato, praticato quando la Mondadori sfollò sul Lago Maggiore. C’è un amore vero, una donna che poi venne uccisa barbaramente in Medio Oriente. C’è l'accenno, attraverso il dottor Marr, bello, cialtrone e seduttore, alla diffidenza che Scerbanenco provò per tutta la vita nei confronti dei medici (“Mio marito era geloso di loro, non voleva che mi visitassero a lungo, si insospettiva, stava male. Ma non ho mai saputo cosa ci fosse alla radice di questo disagio”).
Attraverso uno dei protagonisti del romanzo riaffiora anche la sofferta, povera giovinezza di Scerbanenco. “Il burro, il caffé erano per lui aromi quasi proibiti - ricorda la vedova -. Fu un autodidatta. Nel tempo libero tra i vari mestieri andava alla biblioteca del Castello Sforzesco a prendere libri in prestito che poi leggeva fino all’una di notte nelle osterie. Kant, Hegel, Hume, alternati col lavoro di contabile. Libri di storia, affreschi di guerra, trattati di astronomia e matematica. Giorgio leggeva raramente i romanzi, anche durante la maturità. L’unica eccezione era Faulkner. Quando uscì Gli indifferenti, e si accese la disputa sul romanzo tra formalisti e contenutisti, lui tifò per Moravia. La letteratura doveva raccontare fatti, storie, destini. Per questo amava pubblicare le lettere delle lettrici sulle riviste che dirigeva. E' sempre stato dalla parte degli esseri umani. Un amore che si portava dietro da quando fece il barelliere per la Croce rossa. Vide gente morirgli tra le braccia, fu catapultato in drammi famigliari. Quelle storie furono il fertilizzante dei suoi romanzi. Sapeva sulla sua pelle che la miseria avvilisce, rimpicciolisce, voleva esorcizzarla con la scrittura”.

BRUNO VENTAVOLI
 
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Grea[t]!
view post Posted on 23/11/2009, 21:36




CITAZIONE (Grea[t]! @ 23/11/2009, 21:19)
C’è l'accenno, attraverso il dottor Marr, bello, cialtrone e seduttore, alla diffidenza che Scerbanenco provò per tutta la vita nei confronti dei medici (“Mio marito era geloso di loro, non voleva che mi visitassero a lungo, si insospettiva, stava male. Ma non ho mai saputo cosa ci fosse alla radice di questo disagio”).

Forse non c'entra nulla, ma leggendo l'ottimo Ventavoli non ho potuto fare a meno di pensarci. In Non rimanere soli, dove ancora non sono arrivato con la lettura, Scerbanenco lascia trapelare questa diffidenza verso i medici che visitano la madre malata - ho riportato sopra le parole di Ventavoli.
Ora mi e vi chiedo, non è anche qui rintracciabile un motivo che spinge Scerbanenco a rendere Duca Lamberti il protagonista dei suoi romanzi più famosi?
Duca, ricordiamolo, ha il compito di combattere il nero più nero che c'è e allora per poterlo fare non può essere un eroe senza macchia. Ricordiamo anche come Scerbanenco collochi la Realtà al centro dei suoi romanzi (dopo aver fatto suo il dinincanto degli anni di guerra) e perciò non può più mettere Jelling contro violenti o stupratori. Quindi ecco un ex medico, che conosce gli uomini meglio dei criminali, qualitativamente parlando.
Ma è tutto qui?
Non è che a Scerba questi medici - figuriamoci allora un ex, radiato dall'albo - non andassero proprio giù e allora decide di scegliere proprio uno di loro come protagonista? Un personaggio irregolare, carcerato in passato, che ha, diciamolo pure, un pò del senso criminale che contraddistingue i cattivi?
Può essere uno spunto di riflessione valido o vedo acqua nel deserto a causa della giornata pesante?

A voi.
 
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tommaso berra
view post Posted on 24/11/2009, 12:06




suggestivi i tuoi interrogativi. ho bisogno di pensarci un po' su e magari di rileggere la storia di duca in "venere privata". nessun dubbio che per affrontare la mala milanese degli anni '60 uno jelling non sarebbe stato adatto. c'era bisogno di un investigatore duro e di un uomo d'azione. jelling è uomo di finissimo intelletto che può contrastare solo un certo tipo di criminalità nell'ambito di storie essenzialmente familiari. duca è tutt'altro e questo lo sappiamo. ma qui mi fermo con un interrogativo. ha qualcosa di criminale duca? e perché? per essere stato in carcere? ma vi è stato per eutanasia su un'anziana paziente consenziente. mi pare di ricordare - ed ecco che torna il motto "studiamo ..." - che scerba faccia trasparire comprensione se non simpatia per questo "crimine" di duca. azzardo: i medici gli sono antipatici, non sappiamo perché, come dice la vedova, ma duca è un medico che ha avuto il coraggio, mezzo secolo fa, di andare decisamente controcorrente. è un medico particolare, che esce dal coro, che ha tuttavia una sua robusta moralità. e per queste caratteristiche diventa l'eroe dell'ultimo scerbanenco. parliamone ancora, è molto interessante questa discussione.

Edited by tommaso berra - 24/11/2009, 18:42
 
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Grea[t]!
view post Posted on 24/11/2009, 16:04




E' chiaro che Duca non è un criminale al pari dei cattivi che combatte. Quello che intendevo con "senso criminale" - forse sbagliando nei termini - era proprio la sua caratteristica di salire sopra le righe dell'ordinario, e sporcarsi le mani senza pensarici due volte. Duca, e parlando solo dopo Venere privata la mia è solo un'idea parziale del personaggio, mi sembra il non-"sbirro" cattivo, retto, che cerca giustizia con modi anche poco consoni. Duca sarebbe disposto a prendere a pugni un interrogato, pur di fargli rivelare le informazioni che vuole conoscere. Lo picchierebbe forte fino in fondo, pronto a fermarsi solo quando vede che il cattivo sta per svenire.
Insomma vedo Duca equilibrista tra un mondo criminale e una giustizia sempre più difficile da far rispettare. Ma alla fine sempre dentro l'ambito della legalità, anche se solo per centimetri.
Da qui la curiosità - lo sapremo mai? - di capire se l'avversione di Scerbanenco verso i medici (anche qui le modalità sono da approfondire, e mi sto dando da fare) possa essere stata significativa per la creazione di Lamberti.

Parliamone.
 
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tommaso berra
view post Posted on 24/11/2009, 17:31




d'accordo, ma forse anch'io non riesco a farmi capire. e azzardo: scerba simpatizza per duca, scerba è duca, come ancora dice la moglie; scerba, uomo dalla forte sensibilità di tipo femminile (non suoni come insulto trattandosi di un uomo, anzi...) ha bisogno di completarsi in duca. che è un irregolare come poliziotto ma è anche un irregolare come medico. può darsi benissimo che egli detesti i medici - è sempre la signora scerbanenco a dircelo - ma come eroe positivo ed alter ego sceglie un medico che è fuoriuscito dalla casta dei medici, si potrebbe dire un "non medico" in senso anche critico verso una certa medicina che non mette al centro del suo interesse il paziente, bensì altro.
insomma, la scelta come alter ego di un medico-non-medico potrebbe suonare conferma della sua antipatia per la categoria medica. il discorso potrebbe allargarsi - attraverso il problema dell'eutanasia - alle idee politiche di scerbanenco: è un antitotalitario certamente, lo abbiamo visto: odia il nazifascismo e credo altrettanto il comunismo, non fosse altro che per comprensibili motivi familiari. ma credo non abbia neppure simpatia per l'italietta clericale e bacchettona degli anni '50-'60 (che - ahinoi - tenta ancora di dominare la scena oggi). ma questo è un terreno tutto da esplorare. e non ripeto il fatidico motto altrimenti rischio di essere mandato a quel paese in genere, numero e caso. e allora alla domanda finale di great-scerbancredi si potrebbe rispondere affermativamente: sì l'avversione per i medici ha potuto portare scerrbanenco a scegliere come suo alter ego un medico-non-medico che ("traditori di tutti") rifiuta di percorrere la strada della riammissione nell'ordine dei medici, ergo nella casta, per accontentarsi di uno stipendio di "acchiappaladri e malefemmine". e lo fa spedendo a carrua copia dell'abiura di galileo il quale "poveretto, non solo abiurava ma, a settant'anni, s'impegnava a fare la spia e a denunciare altri eretici come lui".
fermiamoci qui, per ora, altrimenti chissà dove ci porta questo diavolo di scerbanenco.


Edited by tommaso berra - 24/11/2009, 17:58
 
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Grea[t]!
view post Posted on 24/11/2009, 20:10




CITAZIONE (tommaso berra @ 24/11/2009, 17:31)
d'accordo, ma forse anch'io non riesco a farmi capire. e azzardo: scerba simpatizza per duca, scerba è duca, come ancora dice la moglie; scerba, uomo dalla forte sensibilità di tipo femminile (non suoni come insulto trattandosi di un uomo, anzi...) ha bisogno di completarsi in duca. che è un irregolare come poliziotto ma è anche un irregolare come medico. può darsi benissimo che egli detesti i medici - è sempre la signora scerbanenco a dircelo - ma come eroe positivo ed alter ego sceglie un medico che è fuoriuscito dalla casta dei medici, si potrebbe dire un "non medico" in senso anche critico verso una certa medicina che non mette al centro del suo interesse il paziente, bensì altro.
insomma, la scelta come alter ego di un medico-non-medico potrebbe suonare conferma della sua antipatia per la categoria medica. il discorso potrebbe allargarsi - attraverso il problema dell'eutanasia - alle idee politiche di scerbanenco: è un antitotalitario certamente, lo abbiamo visto: odia il nazifascismo e credo altrettanto il comunismo, non fosse altro che per comprensibili motivi familiari. ma credo non abbia neppure simpatia per l'italietta clericale e bacchettona degli anni '50-'60 (che - ahinoi - tenta ancora di dominare la scena oggi). ma questo è un terreno tutto da esplorare. e non ripeto il fatidico motto altrimenti rischio di essere mandato a quel paese in genere, numero e caso. e allora alla domanda finale di great-scerbancredi si potrebbe rispondere affermativamente: sì l'avversione per i medici ha potuto portare scerrbanenco a scegliere come suo alter ego un medico-non-medico che ("traditori di tutti") rifiuta di percorrere la strada della riammissione nell'ordine dei medici, ergo nella casta, per accontentarsi di uno stipendio di "acchiappaladri e malefemmine". e lo fa spedendo a carrua copia dell'abiura di galileo il quale "poveretto, non solo abiurava ma, a settant'anni, s'impegnava a fare la spia e a denunciare altri eretici come lui".
fermiamoci qui, per ora, altrimenti chissà dove ci porta questo diavolo di scerbanenco.

Magnifico, un intervento semplicemente magnifico. image
 
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tommaso berra
view post Posted on 25/11/2009, 00:28




grazie, bella quella faccina plaudente, ma dobbiamo approfondire ancora. quanto a duca, bisogna mettere a fuoco il suo rapporto con la legalità. non vi sarà sfuggito il contrasto con susanna paany in "traditori di tutti", grande romanzo. è emblematico. non posso dire molto per ovvi motivi di spoiler. lei è la "dea della purità di cuore o di coscienza". ma duca la giudica anche "cretina, tutta, e neppure un poco o niente". e tifa appassionatamente per lei, affinché abbia una condanna mite, il più possibile mite. il bello è che scerbanenco ti fa stare contemporaneamente dalla parte di duca e di susanna. hanno ragione entrambi, anche se in fondo prevale la morale di susanna: "nessuno deve farsi giustizia da se stesso". e duca e carrua non possono fare niente per lei, se non stimarla. questa è una magnifica tragedia della legalità, con echi antigoniani, e susanna ne è l'eroina. scerbanenco è in bilico tra le due posizioni, ma alla fine fa trionfare il "non uccidere" di susanna, condiviso, in dissenso con duca, dal "saggio" carrua. ma attenzione: in questo come negli altri romanzi, duca non può essere assimilato ad un qualunque vendicatore solitario, ad un qualunque sadico fascistello. se vivesse oggi credo che il rondismo, nella sua essenza profonda, gli farebbe schifo. egli è pur sempre un uomo della legge e alla legge alfine s'inchina pur nel tormento, umano, molto umano, per situazioni drammatiche come quella vissuta da susanna. non vorrei essere frainteso (eventualmente la colpa è mia per mancanza di chiarezza) ma nelle storie di duca fa spesso capolino l'ambiguità (spero sia la parola giusta, ma forse ce n'è un'altra migliore): è l'ambiguità stessa della vita, la difficoltà, a volte, di tagliare le vicende umane con l'accetta. siamo dalla parte di susanna vendicatrice, ma siamo anche dalla parte di susanna che ripudia la sua azione. siamo con duca ma anche con carrua. grande, grande scerbanenco questo "traditori di tutti". tanto grande che - se non ricordo male - ha fatto esplodere la passione scerbanenchiana di great-scerbancredi.

Edited by tommaso berra - 25/11/2009, 00:50
 
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tommaso berra
view post Posted on 25/11/2009, 10:48




CITAZIONE (Grea[t]! @ 23/11/2009, 21:19)
“In Svizzera prima fu ospitato in un campo per profughi stranieri, e fu abbastanza grama - dice Nunzia Monanni -. Poi ritornò lentamente alla vita che conduceva a Milano, alloggiato tra Coira e Davos. Era un brillante giornalista e voleva soltanto scrivere. Collaborò ai fogli che altri esuli italiani stampavano. S’incontrava con Montanelli, Vergani, con l’agente letterario Linder. Scrisse cinque polizieschi ambientati a Boston che dopo la guerra uscirono nei gialli Mondadori e che Frassinelli sta per ripubblicare”.

è doveroso segnalare una inesattezza contenuta nel pur ottimo articolo di ventavoli. la seconda signora scerbanenco fa un po' di confusione. quando scerbanenco va in svizzera, nel '43, i cinque polizieschi bostoniani di jelling sono tutti stati pubblicati: il primo, "sei giorni di preavviso" nel '40, in un "supergiallo" mondadori che aveva consacrato il non ancora trentenne scerbanenco tra i grandi del genere, accanto ad agatha christie e s.s. van dine. l'ultimo, "l'antro dei filosofi", nel 1942. nella nota pubblicata in appendice a "sei giorni di preavviso" ("1940: scerbanenco e il giallo in italia") roberto pirani ha anche dato la spiegazione del perché scerbanenco scriva gialli ambientati a boston: non stava bene che si scrivesse di crimini e criminali italiani visto che il crimine era stato estirpato dal fascismo. boom! ricordate il caso girolimoni portato sullo schermo da damiano damiani con un grande nino manfredi?

Edited by tommaso berra - 25/11/2009, 16:05
 
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Grea[t]!
view post Posted on 2/12/2009, 23:00




Rispondendo a tommaso sull'inesattezza della Monanni, riporto quello che ho trovato nella cronologia.
"1940, Lago Maggiore. [...] La grande rivale della Rizzoli lo ha assoldato a caro prezzo per lanciare una rivista concorrente a << Novella >>, << Novellissima >>, che però chiude quasi subito.
Il nuovo editore lo attrae anche per un altro motivo: i <<gialli Mondadori>>, che sono la sua prima segreta e mai abbandonata passione. Durante la guerra scrive per la popolare collana cinque romanzi polizieschi: Sei giorni di preavviso (1940), La bambola cieca (1941), Nessuno è colpevole (1941), L'antro dei filosofi (1942), Il cane che parla (1942). [...]"

Poi dopo l'8 settembre 1943 la fuga in Svizzera.

Quindi la collocazione temporale è giusta ("durante la guerra scrive"), ma rimane l'inesattezza - in Ventavoli - sulla pubblicazione dopo la guerra.
Spero di saperne di più presto.
 
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tommaso berra
view post Posted on 2/12/2009, 23:45




si può allora presumere che ventavoli abbia frainteso cinzia monanni attribuendole una collocazione temporale errata del ciclo jelling dopo l'8 settembre del '43. se ventavoli avesse potuto consultare scerbanencoscrive non sarebbe caduto in questo grossolano errore. ma scerbanencoscrive ancora non esisteva e quindi possiamo assolverlo. medita ventavoli, medita.
 
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Grea[t]!
view post Posted on 3/12/2009, 08:58




CITAZIONE (tommaso berra @ 2/12/2009, 23:45)
si può allora presumere che ventavoli abbia frainteso cinzia monanni attribuendole una collocazione temporale errata del ciclo jelling dopo l'8 settembre del '43. se ventavoli avesse potuto consultare scerbanencoscrive non sarebbe caduto in questo grossolano errore. ma scerbanencoscrive ancora non esisteva e quindi possiamo assolverlo. medita ventavoli, medita.

E' vero, Ventavoli non ha colpe. Segnalo che il nome della Monanni è Nunzia. ;)
 
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tommaso berra
view post Posted on 3/12/2009, 09:37




non mi sono spiegato bene. penso che sia stato ventavoli - ma non è una colpa, nelle interviste può succedere - ad aver deformato il racconto di nunzia monanni (perché cinzia poi che è più moderno, mentre nunzia è un nome antico e sembra anche meridionale?). ma ora, grazie a scerbanencoscrive, ventavoli sarà in grado di fare controlli accurati.
questa precisazione era dovuta, visto che avevo insinuato a scerbancredi, prossimo a meritoriamente pubblicare la cronologia scerbanenchiana della monanni, che la fonte non fosse del tutto affidabile sugli anni in cui la signora nunzia non frequentava giorgio visto l'errore di datazione del ciclo jelling. mi pare di aver letto che la relazione sentimentale tra giorgio e nunzia sia cominciata nel 1950, quindi vissero insieme nove anni, gli ultimi della vita di scerbanenco. questo avrebbe potuto significare imprecisioni sugli anni quaranta da parte della sua seconda moglie. ma da quel che scrive great-scerbancredi non dovrebbe essere così.

Edited by tommaso berra - 3/12/2009, 09:55
 
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Grea[t]!
view post Posted on 3/12/2009, 09:42




Anche io penso che Ventavoli abbia leggermente deformato, ma come dici bene tu non era supportato da ScerbanencoScrive, e quindi non può avere colpe. :D
 
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12 replies since 23/11/2009, 21:19   718 views
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