L'antro dei filosofi, il quarto libro dedicato ad Arturo Jelling

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orrest
view post Posted on 12/12/2009, 18:34




L'ANTRO DEI FILOSOFI

Partiamo da una considerazione di carattere generale su Scerbanenco prima, e poi sui suoi personaggi; Giorgio attraversa come qualsiasi artista cicli storico, artistico, narrativi molto differenti tra loro a maggior ragione per un uomo con un animo molto sensibile.
Sembra quasi fuori posto come scrittore e come persona a cavallo della seconda guerra mondiale e invece la sua capacita letteraria e i suoi scritti sono una denuncia e uno specchio dei tempi. Come fuori posto sembra, ad un primo acchito, Arturo Jelling. L’investigatore improbabile, come improbabili sono le indagini che conduce; prima con una morte annunciata, poi con una serie di morti legati ad una famiglia molto in vista di Boston ( I Deravans) e, infine, con un colpevole servito su un piatto d’argento in nessuno è colpevole. Eppure il nostro caro archivista rimischia le carte, scombina colpevoli e presunti tali, testimoni più o meno attendibili e donne protagoniste sotto diversi aspetti e con diverse sfumature. Questo modus agendi lo si legge anche in questo quarto libro del ciclo di Jelling. Dove però si nota una cesura netta con il passato fin dall’inizio del romanzo, laddove Arthur diventa Arturo, Matchy il poliziotto tutto muscoli e metodi burberi scompare così come il processo narrativo seppure mantenuto in terza persona non viene più filtrato attraverso il fine intelletto di Tommaso Berra (non viene mai citato) ma solo raccontato in terza persona, una presenza che segue Jelling costantemente, diventando il suo sforzo investigativo ma che non si palesa mai e con cui il nostro poliziotto improbabile non può mai confrontarsi e confortarsi.
L’antro dei filosofi è un’opera matura e profondamente diversa dalle precedenti, è il libro dove Scerbanenco inizia a prendere coscienza degli orrori della guerra e dei misfatti del nazifascismo, la coerenza del moralismo a tutti i costi (o presunto tale) capace di calpestare, umiliare e distruggere la verità a favore di una “giustizia” costruita ad arte ma pur sempre giustizia.
Gerolamo Steve ne è il vessillo, mentre il padre Leslie solo il suo riverbero filosofico e quindi meno cogente e duro - così come i filosofi di fine ottocento furono accusati (ma su questo non mi sento di dare giudizi) di essere stati apologia della dittatura nazista – Oliviero invece è il nostro “mite” fascismo: succube sicuramente del fratello “maggiore”. E poi ancora le donne, in quello che sembra essere il filo rosso di Jelling, coprotagoniste della storia che scorre su due binari, uno politico – filosofico e l’altro prettamente di genere (noir e giallo insieme). Una donna disposta a tutta e un’altra tenuta sotto il torchio della minaccia. E sempre una donna sarà la chiave di volta del mistero.
Molteplici altre potrebbero essere le considerazioni, gli spunti di riflessione, le implicazioni storiche e quelle più semplicemente legate al romanzo giallo che si possono fare sull’Antro dei Filosofi, sicuramente in questo quarto romanzo l’omicidio passa in secondo piano e questo è un altro elemento di discontinuità con il passato. Appunti di viaggio nella lettura i miei, che sicuramente cercherò di integrare e migliorare, sperando siano utili.
 
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tommaso berra
view post Posted on 13/12/2009, 00:41




intanto mi pare corretto aver rilevato, nell'"antro dei filosofi", la scomparsa di personaggi di tommaso berra e matchy. quest'ultima, come ho detto in altra sede, contribuisce a rendere più cupo questo jelling visto che il braccio destro del timido archivista della polizia di boston è un personaggio fondamentalmente umoristico, che alleggerisce quindi la narrazione. quanto a berra, l'illustre psicopatologo che appare in veste di narratore nei primi tre jelling, si tratta di un personaggio abbastanza anonimo e non ben caratterizzato, come rileva maurizio pistelli nel suo "un secolo in giallo"; niente a che vedere con il suo "collega" watson che nei romanzi di sherlock holmes assurge al ruolo di coprotagonista.
un'altra annotazione interessante riguarda la versione italiana, nell'"antro dei filosofi", del nome di battesimo di jelling, non più arthur ma arturo. mi piacerebbe sapere perché scerbanenco opta in questo romanzo, e mi pare di capire anche ne "il cane che parla", per il nome italiano dell'investigatore bostoniano. non credo che c'entrino le sciocche disposizioni del minculpop che nel '37 aveva dettato alcune "istruzioni" ai giallisti italiani (l'assassino deve essere straniero, divieto di suicidio per i personaggi italiani, arresto obbligatorio del colpevole). perché un americano avrebbe dovuto chiamarsi arturo? che scerbanenco abbia voluto ingraziarsi qualche papavero del regime facendo balenare la remota eventualità di un qualche legame con l'italia di un così geniale investigatore? un omaggio al genio italico, insomma. mi sembra una cretinata, ma non mi stupirei se all'origine del mutamento di nome ci fosse qualcosa del genere.
 
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Grea[t]!
view post Posted on 29/12/2009, 23:49




Un po’ di tempo fa si discuteva sulla qualità del ciclo Jelling, e sulla sua riuscita nell’universo delle opere scerbanenchiane. Che i romanzi del ciclo siano godibilissimi è di tutta evidenza, così come è altrettanto limpida la presenza narrativa del miglior Scerbanenco, testimoniata, come ormai capita sempre, dal desiderio di completare in fretta la lettura, senza tentennamenti di alcun tipo o sensazioni di pesantezza. E’ poi altrettanto chiaro il fatto che questi romanzi si collochino all’inizio della carriera dello scrittore, tra il ‘40 e il ‘42, ed è dunque normale trovare da ridire su questo o quell’elemento strutturale senza aver timore che Giorgio si rivolti nella tomba. Sarebbe sbagliato, a tal proposito, paragonare la serie di Jelling a quella di Duca, e per molteplici ragioni. Con Duca Scerbanenco raggiunge il suo acme, il suo massimo livello artistico ed esistenziale; Duca Lamberti è il personaggio che fa nascere il noir italiano, che apre una traccia, creando un nuovo genere letterario nazionale. Lamberti necessita dunque dello Scerbanenco più maturo e con le maggiori (numericamente parlando) esperienze possibili: la Prima e la Seconda guerra, la fuga da Kiev e quella in Svizzera, l’ambiente familiare di Roma e la Milano straniera, tutta questa che è la vita di Scerbanenco sarà il motore della sua maturazione e dell’evoluzione della sua scrittura. Jelling è altro, un’altra tipologia di thriller: è il “giallo” puro, di sherlockiana memoria. Non è un genere nuovo per gli scrittori italiani ed infatti Scerbanenco darà un contributo - comunque importante a mio avviso - ma non inventerà nulla. E’ probabile dunque che il giallista dotto e appassionato trovi da ridire su più punti: la complessità dell’intreccio (come per esempio in Nessuno è colpevole) oppure lo scioglimento dello stesso, magari eccessivamente repentino e immotivato. Va bene tutto, se ne discuta, ma non dimentichiamo che, in questo periodo, parliamo di un giovane scrittore, di innato talento, ma che deve ancora vedere tanto, se non tantissimo.
Fatta questa doverosa premessa, inizio a parlare da appassionato di Jelling di questo quarto capitolo, ringraziando orrest che ha aperto la discussione dopo la lettura.
L’Antro dei filosofi mi ha lasciato molto soddisfatto, il meccanismo e lo scenario della trama sono accattivanti e il finale non delude, e già questa è una garanzia. Ma il romanzo merita una riflessione adeguata, profonda, perché come ha già bene detto orrest è un episodio che si discosta un po’, per certi tratti, dai tre precedenti.
Iniziamo da un particolare, nuovo rispetto al solito.
In tutti i capitoli, nella prima pagina, in alto a destra, è riportata una nota che spiega al lettore in sintesi quello che può aspettarsi dalle pagine successive. Questa nota assomigliante ad un foglietto di Jelling, uno dei tanti che egli tiene nelle tasche del panciotto, simili a post-it moderni, rende l’idea della struttura del romanzo: è come se leggessimo una cartella dell’archivio della polizia, con appunti e considerazioni personali da parte degli esperti. I promemoria che Jelling lascia a Sunder con le possibili opzioni del crimine oppure i ritratti dei presunti colpevoli sono a volte riportate interamente da Scerbanenco, che riesce in questo modo ad aiutare il lettore nella sua indagine personale, coinvolgendolo man mano che il romanzo prende corpo, e dandogli l’idea di essere lì negli interrogatori, anche lui vicino a Jelling. Una struttura siffatta pone rimedio alla mancanza di Tommaso Berra oppure, come la vedo io, ne motiva l’assenza. Se si leggono le carte della polizia infatti, non c’è la necessità di filtrare i ragionamenti di Jelling attraverso una seconda persona nel romanzo, perché tutto ciò che è pensato è scritto, nero su bianco, con chiarezza estrema. Notate infatti, già lo dicevamo, come è solo attraverso il ragionamento e la logica che Jelling sbroglia il caso, senza mai ricorrere al doppio gioco o nascondere agli interrogati i suoi sospetti. In questo si conferma proprio un investigatore atipico ed improbabile.
Questo quarto episodio rappresenta poi una chiara evoluzione della timida figura dell’archivista, ormai divenuto esperto e rinomato dopo la soluzione dei tre casi precedenti, pur mantenendo intatti l’estrema timidezza e il pudore che ne hanno fatto il successo. Lo si vede chiaramente fin dalle prime pagine, quando ad esempio il capitano Sunder decide di dirottare il signor Steve nell’ufficio dell’archivista, senza farlo passare dal proprio. Jelling non è poliziotto, ma ormai e come se lo fosse. Il capitano conosce ormai i suoi preziosi ragionamenti e gli lascia volentieri carta bianca, al contrario di quanto accadeva nei primi romanzi dove un’ulteriore causa del timore di Jelling era dovuta proprio alle risposte del capitano, costretto a subire quelle tecniche investigative strampalate. Adesso non più, adesso Sunder si preoccupa per Jelling, si preoccupa che egli abbia mangiato e addirittura che non abbia troppo caldo, in una giornata afosa, dentro un ufficio rovente.

<< Il caldo era divenuto impossibile da sopportare. Jelling stava morendo asfissiato nella sua giacca, forse sarebbe svenuto, se a un certo punto non fosse entrato nel suo ufficio il capitano Sunder. “Come? Ancora qui? Non siete andato a far colazione?”
“Ve... vedete, aspettavo una persona per la denuncia che mi avete rinviata questa mattina.”
“Gli Steve?...E perché non vi levate la giacca?”
“Ma no, capitano...Non occorre...” mormorò Jelling. Aveva il colletto fradicio. Lungo la schiena gli correvano rivoli di sudore, che si fermavano alla vita, impediti dalla cintura. Le maniche della camicia gli si appiccicavano alla pelle, impedendogli i liberi movimenti del braccio.
“Non occorre?!” urlò il capitano Sunder. “Non vorrete mica far la fine della candela?...Andiamo! Marsch!”
Nonostante le rispettose resistenze di Jelling, il capitano Sunder gli si avvicinò, gli tolse a viva forza la giacca, rimase incredulo quando vide che il suo investigatore osava portare il panciotto e gli levò anche questo; e gli levò anche la cravatta, e gli aprì il colletto e infine gli rimboccò le maniche. >>


Una scena di un umorismo micidiale, a cui segue Sunder che porta due ventilatori nella stanza e Jelling impietrito, denudato e immobile che non riesce più a parlare.
Che Jelling sia un po’ più sicuro di se lo si vede anche da un altro importante particolare: l’assenza di Matchy. Eravamo abituati alla figura del fido aiutante, manovale della polizia, addetto alle ricerche pratiche e ad alzare la voce nel caso ce ne fosse bisogno. Nell’Antro questa figura scompare e viene rimpiazzata, in una sola occasione narrativa, dall’agente Faber, l’alto e robusto Faber, che ha il compito di pedinare gli Steve e sarà poi quello che al momento opportuno farà partire un bel cazzotto - fino a qui Jelling non può davvero spingersi!. Al di la di questa breve comparsa, Jelling è solo: nessuno lo aiuta, nessuno lo porta in giro con la macchina d’ufficio, a nessuno verranno affidate incombenze particolari, eccezion fatta per Faber, che conferma però la regola, essendo appunto eccezione. Jelling non ha più bisogno di nessuno, è perfettamente in grado di gestire i tempi dell’indagine, ascoltando a ripetizione le persone sospette e quelle informate dei fatti. Sarà solo lui a gettarsi in un inseguimento in auto, dove, mostrando lui il distintivo, grida all’autista del tassì di andare più in fretta che può.
Questi elementi sono del tutto nuovi e arricchiscono ancor di più il quadro di questi romanzi: qui, così come del resto in tutto il cammino di Scerbanenco, l’evoluzione ed il mutamento sono continui, e soprattutto, funzionali alla scoperta di nuovi particolari determinanti per un pieno apprezzamento dei personaggi.

Concludo infine con alcune note secche:

1. Sia ne L’Antro sia ne Il Cane che parla Arthur Jelling diventa Arturo Jelling. Questa italianizzazione del nome resta ancora inspiegabile. Occorrerebbe vedere se nelle prime edizioni dei tre precedenti volumi (per intenderci non le ultime edizioni Sellerio) il nome è americanizzato o italianizzato come qui.

2. Boston viene nominata solo indirettamente dai personaggi, mentre Scerbanenco non la fa mai citare a Jelling, sempre solito a presentarsi così: “ Sono Arturo Jelling, della Centrale di Polizia...”. Che quei puntini abbiano uno scopo particolare?

3. A pagina 113 la scoperta che può riaprire un vecchio dibattito tra me e tommaso.
<< Nonostante il caldo, Jelling amava quell’ora come l’aveva amata da giovanotto, all’epoca in cui faceva le passeggiate sentimentali con la signora Jelling e aveva smesso da poco di studiare medicina. >>
Jelling studiava per fare il medico. Ce lo aveva già detto Scerbanenco o, come credo, è la prima volta che egli vi accenna?
In ogni caso, ancora una volta, la professione è sempre la stessa: il medico, come era Lamberti e come sarebbe stato Jelling, se non fosse divenuto implacabile come investigatore.

 
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orrest
view post Posted on 30/12/2009, 17:04




CITAZIONE
3. A pagina 113 la scoperta che può riaprire un vecchio dibattito tra me e tommaso.
<< Nonostante il caldo, Jelling amava quell’ora come l’aveva amata da giovanotto, all’epoca in cui faceva le passeggiate sentimentali con la signora Jelling e aveva smesso da poco di studiare medicina. >>
Jelling studiava per fare il medico. Ce lo aveva già detto Scerbanenco o, come credo, è la prima volta che egli vi accenna?
In ogni caso, ancora una volta, la professione è sempre la stessa: il medico, come era Lamberti e come sarebbe stato Jelling, se non fosse divenuto implacabile come investigatore.

Se non ricordo male e con beneficio di inventario ce lo dice in "sei giorni di preavviso", nelle prime pagine quando Scerbanenco tratteggia la figura del primo Jelling, Arthur Jelling della centrale di polizia di Boston.
C'è ancora tanto da dire circa il mite - ma come fa notare giustamente great implacabile - investigatore.
 
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tommaso berra
view post Posted on 13/1/2010, 15:49




CITAZIONE (Grea[t]! @ 29/12/2009, 23:49)
1. Sia ne L’Antro sia ne Il Cane che parla Arthur Jelling diventa Arturo Jelling. Questa italianizzazione del nome resta ancora inspiegabile. Occorrerebbe vedere se nelle prime edizioni dei tre precedenti volumi (per intenderci non le ultime edizioni Sellerio) il nome è americanizzato o italianizzato come qui.

2. Boston viene nominata solo indirettamente dai personaggi, mentre Scerbanenco non la fa mai citare a Jelling, sempre solito a presentarsi così: “ Sono Arturo Jelling, della Centrale di Polizia...”. Che quei puntini abbiano uno scopo particolare?

3. A pagina 113 la scoperta che può riaprire un vecchio dibattito tra me e tommaso.
<< Nonostante il caldo, Jelling amava quell’ora come l’aveva amata da giovanotto, all’epoca in cui faceva le passeggiate sentimentali con la signora Jelling e aveva smesso da poco di studiare medicina. >>
Jelling studiava per fare il medico. Ce lo aveva già detto Scerbanenco o, come credo, è la prima volta che egli vi accenna?
In ogni caso, ancora una volta, la professione è sempre la stessa: il medico, come era Lamberti e come sarebbe stato Jelling, se non fosse divenuto implacabile come investigatore.

quanti guasti ha provocato questo natale, ha ragione marianna de leyva! per cui ribadisco quel che scrissi nelle "pillole di forum": fatti salvi i diritti e le prerogative di gesù cristo, andrebbe abolito. è accaduto infatti che solo ora mi sono accorto dell'intervento di scerbancredi (un piccolo saggio più che un intervento) su "l'antro dei filosofi". quante sottili osservazioni. veramente interessanti. ho particolarmente apprezzato, perché è un tema che mi sta a cuore e di cui vi ho parlato a proposito de "la sabbia non ricorda", la sottolineatura dell'umorismo scerbanenchiano pur in un romanzo cupo come questo. ottimo lavoro, scerbancredi. interessante anche l'aver rilevato quei puntini di sospensione dopo "centrale di polizia" e, più in generale, il mutamento della struttura narrativa rispetto ai primi tre jelling per cui scerbanenco può fare a meno di tommaso berra. in pratica mi ha messo alla porta senza neppure darmi gli otto giorni. grazie, giorgio, carino da parte tua dopo che ho contribuito con la mia dottrina a far crescere quell'imbranato di arthur.
quanto al problema dei medici in scerbanenco, ha ragione orrest. in "sei giorni di preavviso" scerbanenco ci presenta jelling come un medico mancato e se non ricordo male (non ho il libro sottomano) ci dice pure che aveva inventato qualcosa, un ago mi pare, ma l'invenzione gli era stata soffiata in qualche modo. che imbranato questo jelling!

Edited by tommaso berra - 13/1/2010, 16:50
 
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Grea[t]!
view post Posted on 13/1/2010, 17:15




Son contento che i miei rilevamenti siano piaciuti a tommaso, e mi chiedevo poi come mai non avesse ancora risposto sulla scena umoristica proposta, lui che ama l'umorismo.
Aggiungo che non ricordavo il riferimento di Jelling quasi medico in Sei giorni di preavviso, però, grazie a tommaso, mi è ritornato in mente quell'aggeggio tecnico che Arthur avrebbe inventato, una specie di pinza allungata per facilitare il compito ai dottori in sala operatoria. Credo di non sbagliare se dico percò che tale riferimento sia in La bambola cieca, e cioè il caso Deràvans.
Chiedo conferma a tommaso e a orrest, attenti Jellinghiani.
 
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tommaso berra
view post Posted on 13/1/2010, 17:22




mi pare in "sei giorni di preavviso". ne "la bambola cieca" (ma ripeto, non ho i testi con me) si parla di un'altra invenzione di uno dei medici della clinica, forse della bella dottoressa che fa girare un po' la testa a quell'imbranato di jelling. ma potrei fare confusione. stasera verificherò.
 
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tommaso berra
view post Posted on 13/1/2010, 23:15




ha ragione scerbancredi. il testo in cui si parla dell'invenzione chirurgica di jellling è "la bambola cieca", pag. 73 e seguenti dell'edizione sellerio. e, come ricordavo vagamente, parla di un'altra "invenzione". gli episodi sono narrati in un colloquio tra jelling e la bella oculista lila leiland. questa rivela a jelling che la tecnica chirurgica che avrebbe potuto ridare la vista al ricco alberto déravans non era stata inventata dal proprietario della clinica augusto linden, bensì dal suo assistente alfred lamarck. questi, sempre alla ricerca di denaro (aveva due famiglie) era stato praticamente costretto a cedere la sua invenzione a linden in cambio di una grossa somma. "non sarebbe la prima volta", commenta con voce commossa jelling e racconta alla dottoressa la sua storia: studente di medicina, aveva inventato una pinza a presa molle che facilitava il chirurgo nelle operazioni all'intestino. la pinza rausen, replica leila mostrando di conoscerla bene. "ecco, sì, rausen era il nome del nostro professore", risponde a sua volta timidamente jelling. "oh, io non voglio dire che lo fece apposta ... ma mi disse, quando gli feci vedere il progetto di quella pinza, che non c'era niente di buono, e che dovevo continuare a studiare le mie materie invece di perdere il tempo in un campo non mio". costretto a lasciare gli studi e a cercarsi un lavoro, tempo dopo jelling trovò la sua pinza detta pinza rausen sfogliando un trattato di chirurgia addominale. "linda leiland lo guardò maternamente e gli appoggiò una mano sulla mano" e gli disse: "rassomigliate un poco a severino thesenty (un altro oculista dell'équipe di linden n.d.r.). anche lui è fuori del mondo pratico come voi ... ma appunto per questo è pericoloso".
naturalmente una pinza rausen per la presa dei tessuti molli intestinali non esiste. per questa esigenza chirurgica esiste da prima della seconda guerra mondiale - ho fatto una rapida ricerca su internet - la pinza di allis, una delle tante pinze inventate da questo chirurgo di cui però non so dirvi altro.
 
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orrest
view post Posted on 14/1/2010, 13:03




Ho appena ricevuto dalla libreria Magnanet di Montepulciano la prima edizione dell'Antro dei Filosofi ma non essendo a casa non posso ancora farvi gustare la bellezza della copertina - non me ne vogliano i successivi editori del romanzo -. L'intensità di questo affresco, magistralmente edito da Mondadori (quando mondadori era mondadori), ci fa percepire la bellezza del romanzo, la scena centrale di tutta l'opera è disegnata ma suadente...insomma sarà perchè il romanzo l'ho gia letto ma mi sembra di sentire Jelling parlare non appena guardo la copertina e poi...e poi c'ho una sopresa, una riflessione che mi sta nascendo circa il ciclo di Jelling. Ne riparliamo nella sede oportuna.
 
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tommaso berra
view post Posted on 14/1/2010, 13:06




non tenerci per molto sulle spine, orrest.
 
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orrest
view post Posted on 14/1/2010, 19:43




Come promesso appena tornato a casa ho provveduto a scansionare (scannerizzare chi lo sa come si dice) la copertina dell'antro dei filosofi, sia il fronte che il retro...gustiamocela perchè la collana dei romanzi della palma è davvero bellissima e riesce a cogliere il senso del romanzo, il senso vero se mi concedete la ripetizione. Vi rimanco atresì alla discussione sul sesto Jelling.
 
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L'ora d'oro
view post Posted on 15/1/2010, 13:01




Segnalo che già nel 1943 L'antro dei filosofi era uscito in traduzione tedesca presso l'editore zurighese Albert Müller.
Titolo: Luciana ist verschwunden (Luciana è scomparsa)
Traduttrice: H. Ricker

Edited by L'ora d'oro - 15/1/2010, 16:18
 
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Grea[t]!
view post Posted on 4/7/2010, 11:00




Grazie all’aiuto di Irene sono riuscito a leggere la nota di Roberto Pirani, in appendice all’ultima uscita Sellerio di Scerbanenco, l’Antro dei filosofi. Avevo molte aspettative sia perché le riflessioni di Pirani sono molto valide, sia perché il quarto Jelling rappresenta in tutto il 2010, sino ad oggi, la sola ristampa del nostro autore.
Sono rimasto molto deluso dalle sei paginette che Pirani ci regala. La sensazione è che la brevità della nota non aiuti a cogliere il senso di un romanzo molto valido nel suo contesto ciclico e soprattutto denso di novità rispetto ai tre precedenti.
Per prima cosa segnalo ancora l’inesattezza secondo cui Scerbanenco pubblicò E’ passata un’illusione con lo pseudonimo John Colemoore, edizioni S.A.C.S.E., anno 1942. La firma cita Scerbanenco, lascio a voi controllare nell’archivio delle copertine. D'altronde già tommaso berra aveva segnalato questa imprecisione, non so quanto lieve.
Pirani si sofferma poi sullo stile senza luogo del romanzo con particolare attenzione agli Steve e alla loro filosofia di vita. L’approccio è quello giusto, ma lo sviluppo insufficiente. Scerbanenco vuole solo far passare il fatto che "il fanatico è ridicolo e terribile", lasciando intravedere che il crimine, con persone del genere, è dietro l’angolo?
Io non lo credo fino in fondo. E’ vero che in alcuni punti Giorgio calca la mano nel tratteggio, ma a me non sembra che egli voglia farsi beffe degli Steve, suscitando il sorriso improbabile del lettore. Sebbene Scerbanenco ami la fine ironia, nel romanzo, nei riguardi degli Steve, essa è presente con il contagocce. Questo perché ciò che deve passare è la ferrea moralità e l’irreprensibilità della famiglia, il loro rigore, la loro rettitudine, il loro rispetto delle regole non per piacere a qualcuno, ma perché questo è il modus vivendi della loro famiglia. Un input morale/educativo, vedrei io. La scena serale dove gli Steve recitano ad alta voce i propri peccati, prima di iniziare il pasto, non mi pare che sprigioni fanatismo nè che susciti ironia. Per quanto mi riguarda, a livello formale, sarebbe stato lo stesso se al posto degli Steve ci fosse stata una rigorosa famiglia credente, che esige la preghiera a mani giunte e rivolgendo gli occhi al cielo, prima di iniziare a cenare. Di certo non penseremmo al fanatismo dei primi anni ‘40. Inoltre io credo che gli Steve abbiano una loro sensibilità: ripenso alla scena di Leslie Steve, affacciato sul fiume, a piangere la morte di Luciana Axel. Questa è l’immagine di un uomo che soffre e che in quel preciso momento richiama con naturalezza e semplicità la compartecipazione emotiva del lettore, quasi che se fossimo lì consoleremmo noi stessi Leslie, spinti dal dispiacere e da una vena di pietà. Eppure stiamo parlando sempre dello stesso personaggio: proprio quel Leslie Steve, rigido e inflessibile, che si reca alla locanda con L'atomismo di Democrito e di Leucippo.
Ora Scerbanenco li chiami fanatici, verissimo, ma siamo sicuri di rivedere negli Steve l’immagine riflessa del totalitarismo e del regime nazista di quegli anni?
Secondo me no, secondo Pirani probabilmente. Punti di vista.
Il rammarico maggiore nasce però dal non aver visto approfondita la figura del quarto ispettore Jelling. Già perché ormai Jelling è più ispettore che archivista, un one man show vista la mancanza di Matchy e di Tommaso Berra (non il reale, quello narrativo). Jelling matura, evolve, si fa più autorevole e meno timido. Un cenno di penna, in queste sottolineature, credo sarebbe stato opportuno.
Infine Pirani definisce il finale "una meccanica del resto abbastanza improbabile, è in fondo secondaria, anche se dovuta". Disaccordo su entrambi gli aggettivi e divergenza completa con il grande Pirani.

Auspicio per il futuro: speriamo in nuove e numerose uscite scerbanenchiane. Sellerio, Garzanti, Rizzoli datevi da fare, il 2011 avanza…
 
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view post Posted on 11/9/2010, 15:00
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CITAZIONE (tommaso berra @ 13/12/2009, 01:41)
un'altra annotazione interessante riguarda la versione italiana, nell'"antro dei filosofi", del nome di battesimo di jelling, non più arthur ma arturo. mi piacerebbe sapere perché scerbanenco opta in questo romanzo, e mi pare di capire anche ne "il cane che parla", per il nome italiano dell'investigatore bostoniano. non credo che c'entrino le sciocche disposizioni del minculpop che nel '37 aveva dettato alcune "istruzioni" ai giallisti italiani (l'assassino deve essere straniero, divieto di suicidio per i personaggi italiani, arresto obbligatorio del colpevole). perché un americano avrebbe dovuto chiamarsi arturo? che scerbanenco abbia voluto ingraziarsi qualche papavero del regime facendo balenare la remota eventualità di un qualche legame con l'italia di un così geniale investigatore? un omaggio al genio italico, insomma. mi sembra una cretinata, ma non mi stupirei se all'origine del mutamento di nome ci fosse qualcosa del genere.

Sto leggendo proprio ora L'Antro dei Filosofi, nell'edizione di Sellerio 2010, ma Jelling è ancora Arthur e non Arturo, mentre, a parte il nome del padre degli Steve, Leslie, che è rimasto americano, i nomi di tutti gli altri componenti della famiglia sono stati italianizzati, Gerolamo, Oliviero, Carla, Luciana...
Altra cosa, mentre a pagina 9 Scerba scrive che la casa egli Steve è a un piano, a pagina 90, quando Jelling entra in casa, vede in un angolo una scala a chiocciola che porta alle camere al piano superiore, dove poi ci va per interrogare Carla Steve. Anche in altri romanzi, che ora sinceramente non ricordo bene, mi sono trovato con piccole inesattezze del genere, forse ciò è dovuto al fatto che Giorgio era uso a non rileggere e correggere questi piccoli errori.
 
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tommaso berra
view post Posted on 12/9/2010, 22:22




CITAZIONE (misterGiuseppe @ 11/9/2010, 16:00)
CITAZIONE (tommaso berra @ 13/12/2009, 01:41)
un'altra annotazione interessante riguarda la versione italiana, nell'"antro dei filosofi", del nome di battesimo di jelling, non più arthur ma arturo. mi piacerebbe sapere perché scerbanenco opta in questo romanzo, e mi pare di capire anche ne "il cane che parla", per il nome italiano dell'investigatore bostoniano. non credo che c'entrino le sciocche disposizioni del minculpop che nel '37 aveva dettato alcune "istruzioni" ai giallisti italiani (l'assassino deve essere straniero, divieto di suicidio per i personaggi italiani, arresto obbligatorio del colpevole). perché un americano avrebbe dovuto chiamarsi arturo? che scerbanenco abbia voluto ingraziarsi qualche papavero del regime facendo balenare la remota eventualità di un qualche legame con l'italia di un così geniale investigatore? un omaggio al genio italico, insomma. mi sembra una cretinata, ma non mi stupirei se all'origine del mutamento di nome ci fosse qualcosa del genere.

Sto leggendo proprio ora L'Antro dei Filosofi, nell'edizione di Sellerio 2010, ma Jelling è ancora Arthur e non Arturo, mentre, a parte il nome del padre degli Steve, Leslie, che è rimasto americano, i nomi di tutti gli altri componenti della famiglia sono stati italianizzati, Gerolamo, Oliviero, Carla, Luciana...
Altra cosa, mentre a pagina 9 Scerba scrive che la casa egli Steve è a un piano, a pagina 90, quando Jelling entra in casa, vede in un angolo una scala a chiocciola che porta alle camere al piano superiore, dove poi ci va per interrogare Carla Steve. Anche in altri romanzi, che ora sinceramente non ricordo bene, mi sono trovato con piccole inesattezze del genere, forse ciò è dovuto al fatto che Giorgio era uso a non rileggere e correggere questi piccoli errori.

MisterGiuseppe ci dà una notizia: Sellerio ha riportato il nome di Jelling alle origini: Arthur e non Arturo. Posso rassicurare misterGiuseppe che nella prima edizione dei Romanzi della Palma, che ho la fortuna di avere, Jelling è Arturo e così nella successiva edizione Oscar Mondadori del 1974. Interessante comunque l'osservazione di misterGiuseppe sull'italianità di tutti i nomi dei personaggi del romanzo ad eccezione di Leslie Steve. Questo fa cadere l'ipotesi da me avanzata circa l'italianizzazione del nome di Jelling come una sorta di omaggio al genio italico. Resta la domanda: perché Arturo e a questo punto perché Carla, Oliviero, Gerolamo, Luciana? Interessante anche la scoperta dell'errore di Scerbanenco sulla casa ad un piano che poi diventa di due. Grazie, misterGiuseppe.
 
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