Il fiume verde

« Older   Newer »
  Share  
marianna de leyva
view post Posted on 12/1/2010, 19:10




Il mio incontro col forum è stato assolutamente casuale e poiché ogni stranezza mi incuriosisce dopo la lettera a Don Menghini ho letto l’articolo di Scerbanenco sull’ospedale psichiatrico, devo dire che ho dato un’occhiata anche a molti dei vostri interventi trovandoli difficili per una che non conosce l’autore, così con l’umiltà doverosa di questi casi ho cominciato la conoscenza di Scerbanenco con “Il fiume verde” anno 1952. E la sorpresa è stata proprio questa: sembra scritto oggi, ma soprattutto voglio segnalare la modernità dell’approccio alla malattia psichiatrica che fa Scerbanenco, il quale risolve il racconto applicando e anticipando le teorie di Basaglia che scriverà il suo primo saggio “Che cos’è la psichiatria?” nel 1967. Scerbanenco poi mi sembra attratto da questa tematica, devo dire che anche io sono affascinata dalla complessità della materia, e condivido appieno l’idea che il male e il buio è in ognuno di noi. Un’altra cosa mi ha incuriosito nel fiume verde: è quando scrive “Chi sa perché, tra loro giornalisti, le cose avevano sempre un certo sapore di falso. Come tra attori, pensò Stefano, che recitano sempre, anche quando chiedono le pantofole alla cameriera”. Ma Scerbanenco lo fa rimanere solo uno spunto, non ci ritorna e non lo riprende in seguito, chissà se sulla “categoria” in altre opere chiarisce il concetto o se rimane un artificio tecnico relativo alla professione del protagonista del romanzo. Vedremo, ho intenzione di continuare la conoscenza di Scerbanenco. Mi piace.
 
Top
orrest
view post Posted on 12/1/2010, 19:39




Non ho ancora letto Il fiume verde però lo spunto dato da marianna mi invita ad accelerare e finire Elsa e l'ultimo uomo (romanzo interessantissimo ma per altri aspetti) e iniziare il fiume verde. Anche io sono affascinato dal male oscuro, dalla tematica della mente nella sua immensa complessità. Studiamo e studiamo ancora...
 
Top
tommaso berra
view post Posted on 13/1/2010, 00:38




CITAZIONE (marianna de leyva @ 12/1/2010, 19:10)
ho cominciato la conoscenza di Scerbanenco con “Il fiume verde” anno 1952. E la sorpresa è stata proprio questa: sembra scritto oggi, ma soprattutto voglio segnalare la modernità dell’approccio alla malattia psichiatrica che fa Scerbanenco, il quale risolve il racconto applicando e anticipando le teorie di Basaglia che scriverà il suo primo saggio “Che cos’è la psichiatria?” nel 1967. Scerbanenco poi mi sembra attratto da questa tematica, devo dire che anche io sono affascinata dalla complessità della materia, e condivido appieno l’idea che il male e il buio è in ognuno di noi.

marianna de leyva ha posto un problema credo cruciale per l’opera di scerbanenco: il rapporto con la psichiatria, con la psicanalisi, con la malattia mentale. io non ho letto “il fiume verde” ma credo di poter essere di qualche aiuto per via di altre letture.
innanzitutto vorrei ricordare a marianna che il watson di jelling è uno psichiatra, criminologo e psicopatologo, tommaso berra, del cui nome mi sono indegnamente appropriato. indegnamente perché non ho competenze in materia. ma la creazione di questo personaggio ci dice che scerbanenco era interessato, eccome, alla nuova scienza. dovremmo, almeno io dovrei, riprendere in mano il ciclo di jelling con l’occhio puntato sulle questioni sollevate da marianna.
al momento mi sento di dare il mio contributo, su questo tema, parlando di un altro romanzo dove il problema della malattia psichiatrica è centrale: “i diecimila angeli”, una storia ambientata tra il 1953 e il 1954. lo sto rileggendo per poterne parlare più diffusamente, ma l’intervento di marianna mi consente di discutere di questo aspetto particolare, e lo faccio ben volentieri.
“i diecimila angeli” è la storia della “conversione” di aldo manori, un play boy ligure di famiglia alto-borghese, che un giorno viene ferito accidentalmente ad una gamba, su una spiaggia dell’adriatico, da una guardia di finanza che sta inseguendo un contrabbandiere. aldo è in compagnia di una nobildonna veneziana sposata che lo abbandona sanguinante sulla spiaggia per paura dello scandalo. ed egli ricorda che qualche anno prima, su quella stessa spiaggia, era stato lui ad abbandonare brutalmente una ragazza che aveva rifiutato di concederglirsi. da qui un potente rimorso, un calvario psicologico che porta aldo alla somatizzazione della ferita, per cui, pur guarito ortopedicamente dalla pallottola, non riesce più a camminare senza il bastone e decide perciò di farsi visitare, a milano, da uno psicanalista, “il medico degli svitati”, come lo chiama scherzosamente, ma ritengo con simpatia, scerbanenco. dirò in altra sede del nesso tra questa malattia e la vicenda di aldo.
lo psicanalista, il professor minghieri, è “un terribile e cordiale fiorentino dalla lingua tagliente che irrideva tutto”. è allegro, non sembra un medico, se non per il suo “sguardo penetrante”. anche il suo studio è anomalo: un sontuoso salotto ingombro di poltrone, divani e tappeti. la visita dura tre ore e per aldo costituisce un grande divertimento. minghieri è un medico moderno che conclude la visita (pagine 109-116 dell’edizione amica-bur del 1987) esortando aldo a buttare via il bastone. il “medico degli svitati” non esita a mettersi sullo stesso piano del paziente fino a dichiarare: “lei però dovrebbe sapere che ‘disturbi’ di questo genere li abbiamo tutti, compresi gli psicanalisti. tutti abbiamo qualche rimorso, qualche paura di essere colpevoli, qualche stramberia come quella di usare il bastone senza averne bisogno. io, per esempio, la notte non posso dormire tranquillo se, quando mi spoglio, non rimetto la cravatta che ho portato durante il giorno sull’apposito portacravatte”. il male ed il buio, sembra dire, sono in ognuno di noi, secondo la bella sintesi di marianna. basaglismo ante-litteram, secondo l’ipotesi da lei avanzata? non sono in grado di dirlo, ma anch’io avevo fatto un pensierino a basaglia quando ho letto il bel pezzo giornalistico che scerbancredi ci ha regalato. ma mi era sembrato un volo pindarico e vi avevo fatto solo un timido cenno.
nelle pagine sulla visita del professor minghieri, inoltre, scerbanenco – mi ripropongo comunque di farle leggere a qualche psichiatra per avere un parere sulla loro attendibilità scientifica – si mostra molto documentato in materia, illustrando alcuni test, tra cui uno (registrazione dei tempi di esitazione) che viene effettuato tramite una tavoletta con una finestrella collegata da un filo elettrico a una cassetta.
fin qui apertura e simpatia di scerbanenco per la psicanalisi. ma il nostro discorso si complica - almeno così sembra a me - se leggiamo un passaggio di una lettera del '44 di giorgio a don felice menghini, a proposito di céline, che l'ora d'oro ha riportato nella discussione su "annalisa e il passaggio a livello".
eccolo:
"d'altra parte, l’epoca è quella che è, e quest’aria torbida non è solo negli scritti, nell’arte in genere, perfino nella scienza - vedi psicanalisi - ma un po’ nel cuore di tutti. e l’artista, forse, se ne difende, e così difende tutti coloro che lo comprendono, esprimendola, buttandola fuori in un’opera d’arte che non è mai la torbidezza in sé, concreta, ma la sua rappresentazione, e quindi il giudizio (leggi condanna) di questa stessa torbidezza. solo da questo punto di vista io apprezzo alcune di queste opere moderne; e solo per questo io stesso non chiudo la porta a questo clima corrotto, arido e brutale che è nell’aria, e lo riverso in alcuni miei scritti perché mi pare che in fondo costituisca uno dei miei doveri d’artista. mentirei - e cioè farei azione artisticamente sbagliata e moralmente falsa - se per seguire quei principi morali che pure sono in me, non dessi pure ascolto ad altre voci che non posso negare od abolire, e che sono le voci che corrono in questi ultimi anni per il mondo". qui sembra che giorgio diffidi della psicanalisi, associandola alla torbidezza dei tempi cupi che gli è toccato di vivere. e qui chiedo aiuto a chi ne sa più di me.
p.s. cara marianna, il tuo giudizio sulle "difficoltà" dei nostri interventi mi ha molto colpito visto che proviene da una persona tutt'altro che culturalmente sprovveduta. lo considero perciò un campanello d'allarme e mi/ti chiedo come possiamo essere più leggeri senza rinunciare a tentare di dire cose non banali su questo grande scrittore.
grazie per i tuoi contributi. nuovamente benvenuta tra gli amici di scerbanenco. t.b.

Edited by tommaso berra - 31/1/2010, 23:26
 
Top
marianna de leyva
view post Posted on 13/1/2010, 18:58




Mi mancano troppe tessere del puzzle per seguire con attenzione l’intervento di tommaso berra (ho notato che non ama le maiuscole), ovvero ho letto finora solo “Il fiume verde”. Proviamoci però. Non conosco “I diecimila angeli” (provvederò) ma Tommaso in una eccezionale recensione mi indica due topoi importanti: una conversione - un potente rimorso. Questi due ingombranti sentimenti/emozioni/sensazioni conducono il personaggio al “medico degli svitati” lo psicanalista Dott. Minghieri (a proposito Minghieri sta a cazzone come Mondella sta a purezza?). Qui, dice Tommaso, entra in scena la nuova scienza, la psicoanalisi, a cui Scerbanenco pare strizzare l’occhio per prenderne però anche le distanze in un passaggio di una lettera del 44 indirizzata a Don Menghini. Tommaso dice, da zelante investigatore, che il discorso si complica, ha ragione ma forse non completamente. Allora intanto distinguiamo tra psicoanalisi e psichiatria. Nei primi del 900 compare prepotente nel panorama scientifico prima europeo e poi mondiale (va negli Stati Uniti assieme a Jung nel 1909) Sigmund Freud e, caro Tommaso, le sue teorie sono assolutamente non tranquillizzanti e non familiari per quei tempi e quell’epoca: tutto o molto dell’origine dei disturbi psichici viene ricondotto da Freud alla “morale sessuale”. Una vera rivoluzione, forte come un pugno alla bocca dello stomaco, accattivante come un oggetto di desiderio, ingombrante come un peccato.
Così a me pare comprensibile il duplice atteggiamento di Scerbanenco da lui stesso esposto nella lettera a Don Menghini: l’aria torbida della scienza può e deve essere ascoltata anche da chi ha saldi i propri “principi morali”. Anche ne “Il fiume verde” c’è il rimorso e, per qualche verso, una sorta di conversione oltre che la malattia della mente. Ritornano quindi i temi cari allo scrittore che sembra dare per scontati e per efficaci sia la morale cattolica (il rimorso) che un nuovo approccio alla malattia mentale: Alina viene guarita da un rapporto d’amore intenso, intelligente, contrario alla morale corrente, ma contemporaneamente assolutamente morale e quindi efficace poiché si basa sulla fiducia e sulla visione paritaria di un cosiddetto “normale” vs una cosiddetta “pazza”. In questo romanzo però non c’è il “medico degli svitati” incombe invece il buio di un “manicomio” e credo proprio che Scerbanenco senza saperlo abbia veramente anticipato Basaglia: nel romanzo Stefano, anch’egli senza saperlo con certezza scientifica, mette in pratica la cura fuori dal “manicomio”, luogo di assoluta e teorizzata emarginazione dove il malato mentale non poteva far altro se non convincersi di essere malato mentale.
 
Top
tommaso berra
view post Posted on 14/1/2010, 15:03




CITAZIONE (marianna de leyva @ 13/1/2010, 18:58)
Mi mancano troppe tessere del puzzle per seguire con attenzione l’intervento di tommaso berra (ho notato che non ama le maiuscole), ovvero ho letto finora solo “Il fiume verde”. Proviamoci però.

marianna ha fatto molto bene a provarci e la ringrazio. non ho titoli per dare consigli, ma vorrei approfittare dell'esitazione di marianna ad intervenire nella discussione da lei stessa peraltro avviata (ma qua e là si colgono altre esitazioni, ad esempio da parte di irene48 che pure è intervenuta, anche lei magnificamente, su "rimanere soli") per dire del mio atteggiamento nei confronti di questo forum. giorgio ha scritto 82 romanzi, un migliaio di racconti e chissà quante centinaia di articoli. in teoria nessuno di noi potrebbe parlare della sua opera con assoluta cognizione di causa, neppure l'ora d'oro che mangia pane e scerbanenco fin dalla colazione mattutina. ma noi non dobbiamo scrivere una monografia su scerbanenco. se dio vuole vogliamo fare di più, ma lo strumento è diverso. è uno spazio di libertà in cui si procede - almeno così mi regolo io - per induzione. e siccome tra le libertà annovero anche quella di dire amenità o, per usare un italiano più moderno, cazzate, credo che ognuno di noi farebbe bene a scrivere in scioltezza, sapendo che può sempre correggersi o essere amichevolmente corretto perché non c'è un occhiuto redattore capo o editore che ti aspetta al varco per chiederti conto di questo o di quello. naturalmente non sto facendo l'elogio della sciatteria visto che quando vengono pubblicati testi rigorosi - e se ne sono letti tanti in questi due mesi di vita del forum - si prova un grande piacere. ma non dimentico che il forum può essere anche un gioco proprio perché è, nella sua essenza, quello spazio di libertà di cui dicevo prima. uno strumento straordinario - lo dico da neofita perché questo è il mio primo forum - che mette in contatto le persone, sia pure in modo virtuale (ma poi chissà), le fa dialogare e per ciò stesso le arricchisce.
miracoli di scerbancredi e, soprattutto, miracoli di scerbanenco. t.b.
 
Top
Grea[t]!
view post Posted on 15/1/2010, 18:12




Rimango contento per la riflessione introdotta riguardo la psicoanalisi in Scerbanenco. Avevo sottolineato in Bacheca le analogie tra alcuni elementi del romanzo e i particolari del documentario giornalistico sull’ospedale psichiatrico di Mombello.
Non mi addentro nel tema dibattuto perché non ne ho le competenze, preferendo dire in breve il mio pensiero riguardo questo Scerbanenco del 1952.
La lettura del romanzo, in tutta sincerità, non mi ha entusiasmato. Lo trovo un po’ povero nella trama, incapace di fornire al lettore quell’imprevedibilità che solitamente condisce la seconda parte delle storie scerbanenchiane. Lo stile rimane comunque quello di sempre, scorrevole e piacevolissimo, con squarci descrittivi profondi sia per i protagonisti che per il lettore. Scerbanenco in questo non ha eguali e ormai lo sappiamo bene.
La dote principale di questo romanzo è a mio parere la leggerezza e la rapidità con cui si leggono le pagine ne è prova autorevole. L’amore tra Stefano e Alina non è struggente, folle, imprevedibile o altro ancora, è un amore vero e profondo che i due protagonisti vivono però un passo alla vota, piano piano, senza esporsi all’istinto e alla passione che in questi casi può dominare mente e corpo.
L’andare piano si rende necessario per quello che ha provato Alina sulla sua pelle: la violenza che ella ha subito, anche se lontana, le brucia dentro e la obbliga ad andare incontro alla vita - e quindi alle persone - molto lentamente e con estrema cautela.
Anche il fatto criminale che sta dietro alla donna del romanzo è un crimine “leggero”. Non c’è molto da dire su di esso, non è né l’opera di un mostro né la tessera di un grande mosaico del male. E’ un atto di irresponsabile gioventù: lo si deve pagare perché è una cosa atroce, ma può anche essere superabile se chi l’ha commesso è davvero pentito (e se chi l’ha subito concede il suo perdono, aggiungerei).
Il fiume verde è equidistante sia dall’innocente racconto di affetto tra due persone, sia dal noir classico, più o meno scuro che si intenda. Come accade per La sabbia non ricorda, siamo all’interno del misto di colori scerbanenchiano: un grigio sporco che se visto al tramonto nasconde un po’ di giallo mentre al chiarore dell’alba lascerebbe intravedere un po’ di rosa tenue. Sia ben chiaro comunque che La sabbia non ricorda è decisamente più valido rispetto a Il fiume verde, anzi il mio paragone è improprio e serve solamente a delineare la commistione di generi propria del romanzo di Scerbanenco, cosa di cui già parlammo.
Io credo, e qui azzardo di brutto, che questo scritto trovi particolare fondamento nella conoscenza delle “cose di tutti i giorni” che Giorgio fece attraverso le sue varie poste del cuore. Queste esperienze di vita sono state fondamentali per Giorgio e per tutte le sue opere; la grandezza certificata dello scrittore risiede appunto nella profonda e minuziosa conoscenza dei meandri dell’animo umano, degli istinti e del comportamento che ci contraddistingue. Tutti gli uomini sono analoghi, mi ripete sempre papà. Infatti Duca Lamberti - cito il personaggio più importante, quello con cui Scerbanenco è stato riconosciuto maestro, ma gli esempi da fare sarebbero tanti - fa presa anche per questo: non è per noi affatto alieno e riusciamo a capire le sue vicende perché esse sono attuali, riscontrabili nel mondo reale odierno.
Quindi a questo punto chiuderei con una domanda, che è poi uno spunto per tutti voi: che Il fiume verde sia nato inconsciamente nella mente di Giorgio Scerbanenco prendendo spunto dalla storia che una sua lettrice gli ha scritto?
Chissà. Forse, o forse no. Magari potessimo saperlo.
 
Top
marianna de leyva
view post Posted on 16/1/2010, 10:53




CITAZIONE (Grea[t]! @ 15/1/2010, 18:12)
Rimango contento per la riflessione introdotta riguardo la psicoanalisi in Scerbanenco. Avevo sottolineato in Bacheca le analogie tra alcuni elementi del romanzo e i particolari del documentario giornalistico sull’ospedale psichiatrico di Mombello.
Non mi addentro nel tema dibattuto perché non ne ho le competenze, preferendo dire in breve il mio pensiero riguardo questo Scerbanenco del 1952.
La lettura del romanzo, in tutta sincerità, non mi ha entusiasmato. Lo trovo un po’ povero nella trama, incapace di fornire al lettore quell’imprevedibilità che solitamente condisce la seconda parte delle storie scerbanenchiane. Lo stile rimane comunque quello di sempre, scorrevole e piacevolissimo, con squarci descrittivi profondi sia per i protagonisti che per il lettore. Scerbanenco in questo non ha eguali e ormai lo sappiamo bene.
La dote principale di questo romanzo è a mio parere la leggerezza e la rapidità con cui si leggono le pagine ne è prova autorevole. L’amore tra Stefano e Alina non è struggente, folle, imprevedibile o altro ancora, è un amore vero e profondo che i due protagonisti vivono però un passo alla vota, piano piano, senza esporsi all’istinto e alla passione che in questi casi può dominare mente e corpo.
L’andare piano si rende necessario per quello che ha provato Alina sulla sua pelle: la violenza che ella ha subito, anche se lontana, le brucia dentro e la obbliga ad andare incontro alla vita - e quindi alle persone - molto lentamente e con estrema cautela.
Anche il fatto criminale che sta dietro alla donna del romanzo è un crimine “leggero”. Non c’è molto da dire su di esso, non è né l’opera di un mostro né la tessera di un grande mosaico del male. E’ un atto di irresponsabile gioventù: lo si deve pagare perché è una cosa atroce, ma può anche essere superabile se chi l’ha commesso è davvero pentito (e se chi l’ha subito concede il suo perdono, aggiungerei).
Il fiume verde è equidistante sia dall’innocente racconto di affetto tra due persone, sia dal noir classico, più o meno scuro che si intenda. Come accade per La sabbia non ricorda, siamo all’interno del misto di colori scerbanenchiano: un grigio sporco che se visto al tramonto nasconde un po’ di giallo mentre al chiarore dell’alba lascerebbe intravedere un po’ di rosa tenue. Sia ben chiaro comunque che La sabbia non ricorda è decisamente più valido rispetto a Il fiume verde, anzi il mio paragone è improprio e serve solamente a delineare la commistione di generi propria del romanzo di Scerbanenco, cosa di cui già parlammo.
Io credo, e qui azzardo di brutto, che questo scritto trovi particolare fondamento nella conoscenza delle “cose di tutti i giorni” che Giorgio fece attraverso le sue varie poste del cuore. Queste esperienze di vita sono state fondamentali per Giorgio e per tutte le sue opere; la grandezza certificata dello scrittore risiede appunto nella profonda e minuziosa conoscenza dei meandri dell’animo umano, degli istinti e del comportamento che ci contraddistingue. Tutti gli uomini sono analoghi, mi ripete sempre papà. Infatti Duca Lamberti - cito il personaggio più importante, quello con cui Scerbanenco è stato riconosciuto maestro, ma gli esempi da fare sarebbero tanti - fa presa anche per questo: non è per noi affatto alieno e riusciamo a capire le sue vicende perché esse sono attuali, riscontrabili nel mondo reale odierno.
Quindi a questo punto chiuderei con una domanda, che è poi uno spunto per tutti voi: che Il fiume verde sia nato inconsciamente nella mente di Giorgio Scerbanenco prendendo spunto dalla storia che una sua lettrice gli ha scritto?
Chissà. Forse, o forse no. Magari potessimo saperlo.

E' più che un'ipotesi la riflessione di Scerbancredi, la realtà supera sempre la fantasia e la fantasia (quindi il racconto e il romanzo) è sempre figlia di un accadimento reale che poi può ampliarsi, arricchirsi o impoverirsi, essere fonte di indagine o strumento per prospettare nuove possibilità, nuove emozioni e nuove soluzioni: sta allo scrittore farne un uso adeguato alle proprie esigenze e sta alla capacità, sensibilità, autorevolezza e grandezza dello scrittore fare di un racconto un capolavoro o una cronaca. Quale grande scrittore (di qualsiasi genere) avrebbe mai potuto inventarsi la storia di Cogne o quella di Novi Ligure? La riflessione deve ritornare quindi alla mente umana, tanto complessa che anche gli ultimi approcci scientifici e medici, prodigiosi in altri campi, in questo sono ancora indietro. Le due storie di cronaca vera che ho citato hanno colpito particolarmente tutti noi ma non solo e non tanto per l'efferatezza dei delitti (ricordiamo che nello stesso periodo un'altra mamma ha affogato in un lago i suoi due figlioletti e un'altra ancora ha infilato la sua bambina nella lavatrice) quanto per la normalità del contesto in cui sono accadute. Due famiglie normali, comuni, banali, dove la quotidianità è quella comunemente vissuta dalla maggioranza di noi: casa pulita e in ordine, figli carini e curati, grado di istruzione medio-alto, situazione economica apprezzabile, rapporti sociali presenti. Tutto "normale" quindi, tutto scontato come le tendine di pizzo alle finestre, i gerani e le villette con "zona giorno" e "zona notte" come suggeriscono le riviste d'arredamento fai da te. Niente affatto. Niente era normale in quelle due famiglie e nelle menti dei protagonisti e delle vittime. L'ho già detto male e buio sono in ognuno di noi. Trovo interessante continuare su questo tema, ho apprezzato molto anche tommaso berra in proposito. Se Scerbanenco contiuna non solo ad essere studiato, indagato e conosciuto come autore ma anche a suscitare riflessioni e approfondimenti su chi siamo in realtà, su chi vorremmo essere e su che cosa è veramente importante per noi, vuol dire che è più vivo che mai. Sto pensando ai Sepolcri di Foscolo e forse non è un volo troppo pindarico. a presto Marianna






 
Top
6 replies since 12/1/2010, 19:10   882 views
  Share