Storie di gente per male, Il Corriere della Sera, 18 Ottobre 1994, Giuliano Gramigna

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view post Posted on 18/1/2010, 20:12





Storie di gente per male

Distrazioni colpevoli, crimini segreti, ferocie familiari, vergogne e scherzi della sfortuna: brevi storie in 30 righe. Riuniti in “Il cinquecento delitti” , ed. Frassinelli i racconti neri di Giorgio Scerbanenco

Cinquecentodelitti è un titolo felice per un volume di racconti. Introduce un valore di quantità, un po’ come Il Decameron o Novelle per un anno: il tempo in cui le storie sono state raccontate o verranno consumate dal lettore; o, come qui, la dimensione del materiale messo in opera: una sorta di emporio, di bazar del delitto. Il titolo produce il suo effetto anche se poi una contabilità fastidiosa potrebbe osservare che le storie inanellate dal volume sono solo 480, e solo per una porzione racconti di crimini riusciti e falliti. In realtà, non si può parlare di inganno nei confronti del lettore, per questo libro di oltre mille pagine, curato da Oreste del Buono, che raccoglie una parte dei racconti scritti da Giorgio Scerbanenco, uno straordinario raccontatore, e finora sparpagliati un po’ dappertutto su settimanali, giornali, libri. La copiosità del prodotto non sembra affatto un modo di degradazione del prodotto stesso, ma un atto di generosità spontanea del narratore.
Nella paginetta introduttiva, del Buono ricorda opportunamente che Scerbanenco nutriva una diffidenza salutare per l’ispirazione: "Si scrive quando si vuole e l'ispirazione, forse, non esiste. Come in tutte le cose bisogna soltanto aver voglia di scrivere, averne piacere... E chi non ha voglia di scrivere, è meglio che lasci stare, è segno che non è il suo mestiere...". E' una specie di ars poetica meno semplice e corriva di quanto sembri. Chiamare in causa il piacere nello scrivere, non è gesto privo di conseguenze. In che rapporto stanno il piacere dello scrittore e il piacere del suo lettore? Nel caso di Scerbanenco sembrano sottilmente legati: l’uno richiama l’altro. Che non è forse ancora un giudizio critico, ma libera già Scerbanenco dal ghetto dei produttori di semplici oggetti di consumo.
E' curioso che la rivalutazione del narratore sia avvenuta con l’uscita, nelle edizioni garzantiane dei “gialli viola”, della serie poliziesca imperniata su Duca Lamberti, e sia poi cresciuta adagio ma sicuramente dopo la morte (nel 1969, a soli cinquantotto anni). Nato a Kiev da padre ucraino, cacciata la k originaria del nome per una più familiare c, Scerbanenko Scerbanenco fu un autore dei più prolifici, anche per necessità di mestiere (la direzione e la collaborazione a settimanali femminili) ma soprattutto per quella voglia irresistibile cui si è accennato. La narrativa scritta di Scerbanenco intrattiene un ultimo legame con quella orale che vive soprattutto nella interazione emotiva, nella seduzione fra narrante e ascoltatore. Ma alla fine qui il Cinquecentodelitti può funzionare da cartina di tornasole. Queste storie sono “scritte”, cioè il loro valore dipende dalla scrittura, nel senso più ampio del termine. Non sempre, lo riconosco, senza mende, anche per l'obbligo di rispondere alle aspettative della platea di lettori a cui i racconti erano originariamente diretti: per esempio una certa concessione al sentimentalismo, di fatto neppure connaturale a un narratore crudele come Scerbanenco: si pensi ai suoi libri più “neri” che “gialli”. Ma nella gran parte dei racconti lo scatto del narrato, il taglio della struttura sono lì a testimoniare quella irresistibilità del mestiere, che è in Scerbanenco l'altra faccia del piacere fabulatorio.
I testi del Cinquecentodelitti sono per la più parte brevi quando non brevissimi, una paginetta; ma vi si intercalano dei più lunghi, piccoli romanzi. Ho già detto che l’esca del titolo è un poco bugiarda: le storie qualificabili come poliziesche o gialle, costituiscono solo una parte del ventaglio. In ogni caso, secondo il gusto di Scerbanenco, sono piuttosto brani di una ideale cronaca nera urbana, dove la città è volentieri Milano. Exploits di balordi, di violenti più o meno occasionali, crimini malriusciti o conclusi con la resa o la morte. Ma anche le altre storie finiscono per rientrare nel titolo: saranno i numerosi, impercettibili, segreti crimini di cui trabocca ogni vita, anche la più grigia: distrazioni colpevoli, ferocie familiari, vergogne inconfessabili, scherzi della sfortuna: l’incubo dell'abbandono che continua a tormentare la donna, anche vent'anni dopo che il marito è tornato; il silenzio ostile della ragazza costretta a ospitare l’ufficiale nazista; il disgusto della giovane sposa che deve sopportare la concupiscenza e gli apprezzamenti volgari, facendo ogni giorno il tragitto per il mare. A volte la vicenda, fulminea, è la pura giustificazione di un gioco di parole: la ragazza perbene che “così ridivenne per male”. Il bello è che in tali flashes o illuminazioni di venti, trenta righe Scerbanenco riesce di solito a scampare alla volgarità del “troppo facile”. Non sono storie strangolate, bozzetti, ma lapilli mandati fuori dal vulcano sempre attivo della voglia di raccontare. La sezione più ampia del volume s'intitola “Il mare della vita”. Si può anche prenderlo come l'invito a un certo modo privilegiato di lettura: buttarsi in questo mare di racconti, nuotare a grandi bracciate non attraverso un mondo ma una miriade di micromondi, ognuno dei quali con il suo pallido e fugace scintillamento.

GIULIANO GRAMIGNA
 
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