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aldo, giovanna, “la mamma”, marina, donna cristina, pino, lisa, spandone: sono i principali personaggi de “i diecimila angeli”, romanzo pubblicato nel 1956. ma a quest’elenco bisogna aggiungere il personaggio forse più importante: l’amato adriatico di scerbanenco. “i diecimila angeli” è il romanzo dell’adriatico, più d’ogni altro fra quelli di giorgio da me letti, al punto che questo mare, le desolate valli di comacchio, certe lande battute dal vento, tutti luoghi descritti con grande maestria, diventano persona, sentimento, ideale, visione del mondo. “i diecimila angeli” è la storia della “conversione” laica, direi kantiana, di uno sciupafemmine di buona famiglia di santa margherita ligure, “collezionista” di “angeli”, ovvero di belle fanciulle da avviare alla carriera cinematografica (c’è molto mondo del cinema nel romanzo, che scerbanenco sferza con critiche a tratti dure e impietose) molte delle quali, però, devono prima passare dal suo letto. ma una… non mi soffermo oltre sulla trama, rinviando al mio precedente intervento del 13 gennaio scorso nella sezione “gli altri romanzi”, discussione su “il fiume verde”, scritto dietro sollecitazione di marianna de leyva circa il rapporto tra scerbanenco e la psicanalisi. già, perché oltre ad essere romanzo dell’adriatico e del cinema (o dei cinematografari), “i diecimila angeli” è anche romanzo della malattia mentale, nel nostro caso di aldo manori, che somatizza una ferita da arma da fuoco ad una gamba a causa di un potente rimorso che lo tormenta. l’adriatico dei primi anni ‘50. “la sabbia -è l’incipit del romanzo- sembrava cipria d’oro. attraverso i selvatici, alti arbusti, cristina guardava l’uomo correre sulla sabbia, curvo, le mani che quasi toccavano terra, e oltre di lui c’era la linea del mare senza onde di un quieto azzurro”. l’adriatico con le sue spiagge deserte “per chilometri e chilometri”, la “sconfinata solitudine”. le paludose valli di comacchio verso ostellato, con la “casa morta”, un luogo che per marina “non era poi così brutto”: “era desolato, sì, tutto circondato di terra nera, davanti l’acqua delle valli e niente altro, se non un po’ di verde soltanto all’orizzonte, verso ostellato. ma aveva una brusca, amara bellezza che a lei piaceva”. e anche a giovanna, un’altra grande donna scerbancheniana, lucida, leale, capace di grandi sacrifici per amore, piacevano “la pineta, la spiaggia, la solitudine” di quei “posti dimenticati”, quei “brutti posti”, secondo invece il giudizio della signora massan che su quel mare che gli ha portato via il marito pescatore conduce una vita di sacrifici e di stenti. ha scritto nunzia monanni in “giorgio scerbanenco: una cronologia” parlando del 1955: “le città della bassa padana, del veneto, dei lidi ferraresi allora deserti … sono tutti luoghi che perlustra in lungo e in largo, solo in macchina con l’autista, per poterli far rivivere con precisione. sono gli sfondi preferiti delle sue storie. più i panorami sono piatti, con orizzonti che si perdono a vista d’occhio, più le sue storie sono piene di emozioni, di azione, irte di intrecci che del rosa non hanno proprio niente”. il grande cronista che si documenta con scrupolo, il grande scrittore che introietta e fa vivere il paesaggio. mi sento di dire che da quelle parti dovrebbero intitolare vie, piazze e teatri a scerbanenco, cantore dell’adriatico. forza sindaci di ferrara, trieste, ravenna, ostellato, comacchio, sant’alberto; seguite l’esempio di lignano sabbiadoro! a ben vedere anche il tirreno ligure da cui aldo proviene è un altro personaggio de “i diecimila angeli”, minore e contrapposto all’adriatico. “la mamma” di aldo, donna frivola e odiosamente classista, non riesce a darsi pace per la scelta del figlio di farsi costruire, lui proprietario di villa a santa margherita, “una casa da contadini qui dove non ho ancora visto un paese decente”. aldo e giovanna, invece, amano “la povera gente, dall’oscura e misera vita fatta quasi soltanto di sacrifici”, quei massan che “sono puliti come i panni appena lavati”. ecco perché aldo, che ha intrapreso il suo cammino di conversione guidato dall’imperativo kantiano che aleggia ovunque nella vicenda (“agisci in modo da trattare sempre l’umanità, così nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre come un fine, e mai come un mezzo”) ha scelto di vivere sull’adriatico: il mar ligure, con l’arrembante borghesia milanese che ne ha fatto meta delle sue vacanze, è frivolezza, capriccio, ipocrisia, tutte caratteristiche della “mamma”; l’adriatico è laboriosità, semplicità, lealtà, le caratteristiche dei massan, dei visich, ma anche di pino, quel “grosso cane”, quel rozzo ma ricco “padroncino”, grande lavoratore, che ama marina al punto di… (meglio non dir nulla se no scerbancredi mi ammonisce). mi sono chiesto più volte perché giorgio abbia tanto amato l’adriatico, nella vita e nella trasposizione letteraria. e un giorno mi è venuta in mente una risposta, forse ardita, che proviene da altri miei studi. desidero condividerla con voi e ve la racconto così, con un’apparente divagazione: gli esuli antifascisti nel canton ticino, in occasione del centenario della tipografia elvetica di capolago, che nell’800 aveva stampato le opere di mazzini e cattaneo, si ritrovarono nella cittadina del ceresio il 26 ottobre 1930. uno di loro, il repubblicano luigi delfini, ha scritto anni dopo che quel giorno essi fecero un bagno di italianità: “rivolti a sud, ascoltando l’orazione, vedevamo di fronte, non molto lontano, i monti e il cielo della patria, a noi interdetti per nequizia e intolleranza di compatrioti”. ecco: io sono profondamente convinto che giorgio sull’adriatico, guardando a est, provasse qualcosa di simile. la casa a lignano, quel suo girovagare lungo la costa, le storie adriatiche: era il suo modo di entrare in contatto con la prima patria lontana, dove in una fossa comune era sepolto il padre che egli non aveva conosciuto.
p.s. nei primi giorni di vita del nostro forum, parlando di “al mare con la ragazza” e dell’adriatico, scrissi di avere “un progettino”. orrest ne fu molto incuriosito. il progettino era questo: parlare dell’adriatico di scerbanenco attraverso quello che io credo sia il romanzo “più adriatico”. servito orrest, ora tocca a te. e scusate la lunghezza dell’intervento, ma il tema mi ha molto appassionato. non escludo di fare più in là una riflessione sulla parte cinematografica del romanzo, anch’essa molto stimolante. anzi, la farò senz’altro.
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