| Anche se non ho ancora la completezza della lettura, mi preme rispondere a tommaso il quale ha a sua volta appagato la mia curiosità riguardo al come poter definire quest’opera scerbanenchiana. Mi riferisco allora al primo racconto, Uomini ragno, e scriverò UR per riferirmi ad esso, mentre adotterò il titolo esteso per significare l’insieme dei quattro racconti. Uomini ragno potrebbe forse essere definita una fotografia. Meno sicuramente dell'affresco di cui parla tommaso, con cui concordo nel pensare che non regge il paragone in termini di genere con le altre opere da lui citate. La fotografia è l'impressione su pellicola di un momento, un modo per fermare il tempo e conservarlo nella memoria attraverso un senso, la vista, che ci catapulta a quel ricordo, a quell'attimo, come se il tempo appunto non fosse passato. E' chiaro che per definire UR fotografia dobbiamo un po' distorcere questo concetto, pensando non ad un tempo fermo quanto piuttosto ad un piccolo tempo, a dei momenti, ad un insieme di attimi che fanno la durata del racconto. La fotografia per definizione non mente, non cambia quello che cattura, ma si limita a rappresentare quello che attraverso la luce si fissa sull'obiettivo. E questo è quello che fa anche Scerbanenco: rappresentare alcune situazioni di un breve tempo storico, scattare una foto della realtà popolare milanese nel 1935. Due considerazioni. Primo. I fatti narrati in UR sono realmente accaduti, è lo stesso Scerbanenco a dircelo. Questo è un elemento importante. Secondariamente, come corollario alla prima considerazione, Uomini ragno è anche un romanzo, cioè contiene al suo interno elementi fittizi, di fantasia, creati dalla mente di Giorgio e non fini a se stessi, ma funzionali alla rappresentazione. Da queste due cose possiamo già dire come UR sia uno scritto con venature realiste e veriste, dalla forte connotazione storica. Tommaso ha ragione a dire che non è un romanzo storico, perché ogni composizione ha le sue caratteristiche e questa non denota quelle tipiche del romanzo storico. Potremmo allora dire che, in accordo con la classica miscellanea scerbanenchiana, questo scritto racchiude in se diversi elementi: la storicità del periodo che avvicina alla guerra; il realismo/verismo dei comportamenti; l'immaginazione della scrittura. L'insieme dei tre aspetti rende il racconto davvero agghiacciante, forse come il lettore non si aspetta anche se dovrebbe. Alla fine della lettura restano solo il silenzio e il pensiero a domande insolubili, proprio come chi guarda una vecchia foto raffigurante qualcosa di cui non si spiega la ragione. Analizziamo in breve i tre aspetti sopracitati. L’elemento storico dello scritto è lo stesso di cui parlava tommaso: è “la bestia” cioè il tedesco, colui che non può essere considerato uomo, che si aggira furtivo alle spalle dei veri uomini, meticoloso come i ragni nella costruzione della ragnatela e pronto ad insinuarsi in casa altrui. Quattro mesi Ambrogio Gorelli si interroga se i tedeschi siano classificabili come uomini, ed alla fine arriva alla conclusione che ci sono da una parte uomini nati in Germania (come Kant, Schopenhauer, che sono grandi uomini) e dall’altra c’è il tedesco, la bestia, che si riconosce perché lascia sui suoi passi la propria bava. Ma questo l’ha già spiegato bene tommaso, parlando giustamente dell’invettiva fortissima di Gorelli. Il realismo è invece dettato dai fatti, contornati si da elementi immaginari, ma pur sempre accaduti. Li conosciamo bene questi fatti: storie di uomini, storie di omicidi nascosti e disumani, senza giustizia, storie di spionaggio tra il movimento nazionalsocialista e i partigiani italiani. Storie di guerra. Poi c’è Giorgio e anche qui, in questo tipo di contesto, non mancano tipici attori scerbanenchiani. Mi riferisco certamente alla coppia Alberto e Adina - da notare ancora la passione di Giorgio verso i diminuitivi, Adina sta per Adelina -, l’uno impegnato nel suo lavoro segreto di intercettazione e l’altra lì ad attendere il suo amore, negli unici momenti che egli può dedicarle. Solo in questi momenti di grande passione Adina vive la sua esistenza fino in fondo, abbandonandosi serena a ciò che di più bello possiede adesso nella sua vita. Continui sono, a proposito, i riferimenti dell’autore all’amore carnale: finalmente un bell’amore, tenero e appagante, dopo il sesso abietto descritto nelle pagine di Annalisa ed il passaggio a livello. La vita dei due è molto diversa, forse incompatibile, ma entrambi sono per l’altro “una cosa bella”, una di quelle poche cose belle della vita che sono necessarie alla vita stessa. Senza nemmeno una cosa bella non si può vivere. Questo magnifico momento interiore, universale per ogni uomo, ce lo regala Scerbanenco attraverso i pensieri di Alberto.
“Così egli poté sviare il discorso e guardare la ragazza, che era bella, gli piaceva, e ascoltare la sua voce che pure era bella, o per lo meno gli piaceva molto. Perché da molto tempo aveva capito che una cosa bella e che piace molto, è assolutamente necessaria per la vita. Nessuno, neppure il più oscuro impiegato di questa terra poteva fare a meno di una cosa bella. Aveva conosciuto una volta un vecchio operaio ubriacone, ed egli, benché così povero, aveva due cose belle nella vita. E la seconda era il vino; ma questa non era la più bella. La più bella, ciò che ai suoi occhi gli rendeva degna la vita di essere vissuta, era un grosso temperino, con due lunghe lame, così lunghe che potevano uccidere agevolmente un uomo. E quando egli apriva il grosso temperino per mostrarlo si vedeva che era felice, e che non era del tutto scontento di essere nato. E per lui, la cosa più bella che avesse era Adina, anche se dal suo modo di trattarla non si capiva quanto veramente era bella per lui.”
Si capirà dopo quanto Adina è bella per Alberto.
“Se ne andò di là, e vide Adina. Le braccia nude fuori dalla coperta, perché i termosifoni scaldavano molto, dormiva col capo giù dal cuscino; una gamba piegata, l’altra tenuta distante, attraverso tutto il letto, si disegnavano sotto la coperta. Accese una sigaretta, si levò le pantofole, era già in pigiama, e le scivolò a fianco. E’ così dolce sdraiarsi a fianco di una donna nuda, la sigaretta in bocca, mentre lei dorme. Ecco, nel sonno vi sente vicino, vi aspettava, cede senza svegliarsi alle vostre carezze, vi fa posto, si incunea vicino a voi. Voi sentite il caldo e la pressione del suo corpo su di voi, e intanto continuate a fumare, fissando ora il suo volto, ora il paralume sul comodino. Vi vengono in mente o poesie, o lontani ricordi. Tra bande verdi e gialle - d’innumeri ginestre - la bella strada alpestre - discende nella valle. Dolce cantilena di Gozzano.”
Alberto e Adina però non sono soli, ci sono anche le bestie, sempre in attesa e con la loro bava pronta ad imbrattare tutto ciò che toccano. Di pagina in pagina il clima di UR si fa sempre più aspro tant’è che l’invettiva di Ambrogio Gorelli si potrebbe anche rivederla in Alberto, anche se meno accentuata. Alberto che all’inizio risponde ad Ambrogio dicendo che si i tedeschi sono uomini, pian piano cambia, fino ad chiamarli anch’egli bestie. E se è vero che Alberto è in incognito e che dunque non potrebbe, per necessità, esporsi così con Gorelli, è vero anche che in Alberto non sembrerebbe esserci all’inizio il veleno che sprigiona ogni parola di Ambrogio. Le cose mutano, e l’invettiva a mio avviso la fa anche Alberto, con meno parole, ma non con meno forza. La bestia è in agguato, la bestia che è il cuore di UR ed anche della Storia, quella vera degli anni 30. A questo punto guardate cosa si inventa Scerbanenco, rimanendo legato alla Storia, ma con il gusto del romanzo: la bestia donna. Già, perché la bestia non ha sesso e allora perché non mettere una donna al posto giusto, visto che Giorgio ama le donne nei suoi romanzi e le tiene sempre in grande considerazione? Il riferimento non può che essere a Marieleen, bionda ed elegante vipera nazista. Implacabile è la bestia, ancor di più, allora, lo è la donna della bestia. Potrei chiedere: se gli uomini tedeschi non sono uomini, le donne tedesche possono allora essere definite donne? Scerbanenco non perde un colpo e come si vede l’agio dell’autore negli scritti brevi: la rapidità della scrittura, lo stile inconfondibile e le soluzioni più inusuali fanno dei racconti in genere l’habitat ideale di Giorgio. In Uomini ragno c’è anche di più, c’è la fotografia di un pezzetto di Storia, raccontata con il tocco prezioso del grande scrittore.
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