| Le origini del noir
«Le origini del noir sono cinematografiche più che letterarie. “Neri” furono infatti definiti da alcuni critici francesi certi film polizieschi americani distribuiti oltralpe a partire dal 1946, che, pur collocandosi, a livello di trame e ambientazioni, all’interno del giallo realista stile hard boiled, ne rifiutavano elementi tradizionali come l’eroismo dell’investigatore e il finale moralistico. L’aggettivo noir si riferisce alla cupezza, sia di contenuto che di forma (forte uso del chiaroscuro, inquadrature distorte), di queste pellicole. Nelle parole di Oliva, questi film: “…sottolineando gli aspetti più morbosi e devianti della psicologia del fuorilegge, cercavano di abbozzare, a grandi linee, un primo tentativo di analisi sociologica, quasi a suggerire che il fatto criminale non rappresentasse tanto una patologia circoscritta in un organismo sociale sano, ma fosse, piuttosto, il sintomo di una situazione di crisi generalizzata. Onde un’insolita impressione di realismo e, al tempo stesso, di forte pessimismo ideologico.” Per quanto riguarda la letteratura, fondatori del genere noir sono considerati autori come Horace McCoy e James Hadley Chase, i cui romanzi affrontano il problema del disagio esistenziale e della violenza che scaturisce da una società competitiva come quella statunitense, dove il successo individuale è una sorta di imperativo morale, un obiettivo da raggiungere a tutti i costi. In un tale contesto, il benessere e lo status sociale del singolo individuo sono conquiste talmente importanti da consentire l’uso di qualsivoglia mezzo, anche illegale. Nel delineare la sua tipologia, Todorov afferma: “La violenza, il delitto sordido, l’immoralità dei personaggi sono le costanti attorno alle quali si costituisce il romanzo nero, (dove) infatti, troviamo spesso più di un detective […] e più di un criminale […] il criminale poi è quasi sempre un professionista che non uccide per ragioni personali (l’assassino su commissione) ed è spesso un poliziotto.” La criminalità insomma, in quanto espressione logica di una società fondata sull’egoismo, diventa una forma di accumulazione borghese e quindi una componente normale del potere politico e di quello economico. Ma la violenza non è solo un mezzo per raggiungere il successo, è anche la conseguenza della sconfitta nella lotta per la supremazia sociale. Essa cioè caratterizza le reazioni dei falliti, di coloro che non hanno saputo emergere in quella sorta di giungla che è la metropoli moderna. Questi temi sono centrali in quello che è giudicato l’autore più importante di questa prima fase: Cornell Woolrich. I romanzi della cosiddetta “serie nera” sono storie di donne e uomini pescati dalla massa indistinguibile della folla, che per una serie di circostanze si trovano in trappola, vittime di una società indifferente che non sembra interessarsi della sorte dei più deboli. Perciò i protagonisti di questi romanzi sono pieni di rabbia, paura e senso di inadeguatezza e si muovono in un mondo, dove non esistono più regole, dove il mistero non può essere ricondotto ad alcuna risistemazione logica e le forze del male non sembrano più arginabili. Altri autori noir importanti (…) Nel romanzo noir non c’è una struttura rigida che vincola il modo di raccontare dell’autore. La mancanza di regole è conseguenza del fatto che a questi scrittori non interessa “chi” ha commesso il delitto, ma “perché” il delitto è stato commesso, vale a dire in quale ambiente e in quale situazione di potere si è verificato, chi sono perciò i corresponsabili dell’azione criminosa. La colpa, che alla fine del giallo classico e anche di quello realista poteva essere attribuita ad un unico individuo, diventa collettiva, riguarda la società intera. Da qui discende quel sentimento di sconfitta, di insicurezza e di smarrimento, che si respira nei romanzi noir, anche quando terminano con la scoperta del criminale. Il comportamento deviante del resto appare spesso come una reazione legittima dell’individuo nei confronti della società. Dice la scrittice Laura Grimaldi: “Il noir rifiuta le soluzioni lineari, preferendo addentrarsi nella disperazione, nella solitudine dell’individuo che arriva a uccidere, spesso – per quanto efferato sia il delitto – quasi come legittima difesa nei confronti di un mondo che è incapace di capire e del quale non accetta le regole. Il noir non si conclude con la restaurazione dell’ordine, ma col permanere del disordine, perché il mondo è percepito come caos, come confusione. Il critico letterario Jean François Villar così riassume le differenze tra le strutture dei due generi: “Il giallo racconta storie costruite sull’intrigo, sull’enigma. Nell’economia generale, lo spazio preponderante è occupato dalla soluzione, che mette sulla storia il timbro “caso risolto”. Il giallo sta dalla parte dell’ordine. Nel nero, invece, l’elemento decisivo è il modo di raccontare. La storia vive unicamente delle sue contraddizioni, dei suoi errori, della sua libertà d’iniziativa. Il nero sta dalla parte del disordine. Il giallo è una costruzione, una logica. Il nero è un tono, uno stile.” Non c’è posto nel noir per gli eroi dell’hard boiled, perché tutti i personaggi sono contaminati dal degrado morale in atto. Ciò significa che non ci sono più distinzioni nette tra bene e male, tra buoni e cattivi, tra verità e menzogna, per cui lo schema triadico crimine – indagine – soluzione, quando permane, è ininfluente nell’economia del romanzo. Si potrebbe anche dire che il noir rappresenta in qualche modo l’altra faccia della storia di un crimine, quella vista dalla parte del criminale. Forse proprio per questo il genere conobbe, in questa prima fase, uno straordinario successo non in patria, ma in un paese europeo, la Francia, le cui elite letterarie, come vedremo, si erano sempre mostrate particolarmente affascinate dal tema della criminalità e del male. Negli Stati Uniti, dopo una fase di recupero da parte degli scrittori degli anni Settanta dei modelli meno problematici del giallo classico e di quello hard boiled, la ripresa del registro noir avviene a fine anni Ottanta per mano di James Ellroy, che a partire dal romanzo del 1987 Dalia Nera rilegge la storia civile americana attraverso fatti criminali. Nella “trilogia di Los Angeles” vengono rievocati gli anni Cinquanta come: “…gli anni del trionfo dell’american way of life, ma al tempo stesso quelli del maccarthismo, del dilagare della corruzione e del gangsterismo, della diffusione a livelli industriali della droga, della pornografia, della prostituzione, del crollo insomma della tradizione puritana e dei valori umanistici che un tempo, almeno in teoria, stavano alla base della democrazia statunitense. A livello ideologico si tratta di una denuncia forte della corruzione del ceto dirigente, ma anche di un punto di vista in fondo conservatore, dato che i protagonisti di Ellroy sono personaggi contraddittori, ampiamente contaminati dal clima morale in cui vivono e “determinati più che da un astratto desiderio di giustizia, da qualche personalissima ossessione”. Come Ellroy, anche Willeford, Mosley e Lansdale descrivono “un mondo di incubo e perversione, in cui sembra venir meno la speranza, così caratteristica del nostro genere di un possibile intervento risolutivo, sia pure sul piano individuale”. Del resto sono proprio questi due elementi, disincanto dei protagonisti e realismo delle trame, a rendere il noir altro genere rispetto al giallo».
ANTONELLA PELLECCHIA
Edited by Grea[t]! - 6/3/2010, 15:39
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