Delitto all'italiana, La Repubblica, 4 Agosto 1990, Corrado Augias

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irene48
view post Posted on 6/3/2010, 16:41




DELITTO ALL' ITALIANA


Chissà se ce la farà questa volta Giorgio Scerbanenco. Se ce la farà intendo ad avere ciò che non ha mai avuto, perché i soldi alla fine sono arrivati, l'attenzione è venuta anche quella, perfino sul piano internazionale, ma il riconoscimento pieno, risolutivo, unanime, di scrittore di rango quello non c'è stato allora e non c'è neanche adesso. Eppure è stato lui a creare, più di tanti romanzi e film di cui s'è molto parlato, personaggi, ambienti, intrecci e com'è ormai chiaro, a tanti anni di distanza, il colore e il sapore di un'Italia molto speciale, quella del primo boom degli anni Sessanta e di una Milano che ne è stata, in modo non del tutto consapevole, la capitale. L'occasione potrebbe essere quella buona. L'editore Garzanti ha cominciato a ristampare i suoi romanzi in una collana a lui intitolata (I libri di Giorgio Scerbanenco) e anche se sarebbe stato meglio che la collana avesse la firma d'un curatore e qualche piccola nota d'accompagnamento, bisogna riconoscere che la veste è gradevole, contenuto il prezzo, le copertine eleganti, molto appropriate le foto che le illustrano almeno nei primi due volumi usciti: Venere privata (pagg. 252, lire 10.000), Traditori di tutti (pagg. 231, lire 10.000). Nel panorama degli scrittori italiani che dal punto di vista biografico è piuttosto uniforme, Scerbanenco rappresenta l'eccezione. La vita di questo grande professionista del romanzo minore (così lo ha definito Oreste del Buono) è essa stessa, giustamente, un romanzo. Suo padre era Valerian Scerbanenko, insegnante di latino e greco all'università di Kiev. All'inizio del secolo, nei primi mesi del 1910, sceso a Roma per ragioni di studio, incontrò e sposò Leda Giulivi, ragazza borghese della capitale, di cui non avremmo saputo nulla, non fosse stato per queste insolite nozze, e per i tragici avvenimenti che ne seguirono. Dopo il matrimonio, il professor Scerbanenko torna a Kiev con la moglie Leda. Un anno dopo, agosto 1911, nasce il loro primo e unico figlio, Vladimir Giorgio. Ma a Kiev quell'anno scoppiano anche alcuni sanguinosi tumulti e il professor Valerian ritiene più prudente che moglie e bambino tornino a Roma. Si ripromette di raggiungerli. Non potrà mai farlo, sopravvengono difficoltà d'ogni genere rese insormontabili dall'inizio della Grande Guerra (agosto 1914).
Tra i profughi di Odessa
Appena finita la guerra, Leda, col piccolo Vladimir, attraversa tutta l'Europa e torna in Russia, dove nel frattempo la rivoluzione conosce le sue confuse fasi iniziali. A Kiev riesce solo a sapere che suo marito è stato fucilato. Subito dopo lei e Vladimir vengono internati in un campo a Odessa. Ricordando quei momenti, il futuro scrittore annoterà in modo secco e pudico: "A Kiev, mamma aveva saputo che papà era stato fucilato dai rossi. Era professore, indossava una divisa, come tutti i funzionari dello Stato". In Russia, gli studenti rossi avevano voluto colpire lo Stato in quella divisa. La situazione di Leda è grave. Sposata a un russo, viene considerata soggetta alle leggi del paese, come del resto suo figlio, nato a Kiev. Intanto però arrivano a Odessa tre navi italiane mandate da Roma per raccogliere i profughi e, in un modo mai interamente chiarito, Leda e Vladimir riescono a imbarcarsi e ad arrivare a Trieste. A Odessa tutti i negozi erano chiusi, le strade completamente deserte, ogni tanto si sentiva sparare, ogni tanto passavano colonne interminabili di soldati. E c'era la fame. Per anni la fame farà buona compagnia al giovane Scerbanenco, anche dopo il ritorno in Italia e l'arrivo a Milano, a 18 anni, nel 1929. Alto, magrissimo, di naso aguzzo, occhi leggermente sporgenti nell'ovale ristretto del volto, capelli dall'attaccatura sempre più alta. Fu per non sentirsi più chiedere: ma lei è russo? che cambiò la k del suo cognome in una c e fece cadere Vladimir adottando il secondo nome, Giorgio. Italianizzato nel nome, oltre che nella lingua che è sempre stata l'italiano, (La mia lingua madre fu l'italiano e non ho poi più saputo altre lingue) il giovanissimo Giorgio cerca di trovare più che un lavoro, un po' di cibo da mettere sotto i denti. Era così magro che un medico appena lo vide lo spedì di corsa in sanatorio dove si scoprì che non era affatto tisico, aveva solo bisogno di mangiare. In ospedale, scriverà: "Scoprii l'esistenza dello zabaione, con due uova, con tre, con quattro, con quante ne volevo. La suora che lo distribuiva mi guardava in faccia e me ne allungava un altro oltre alla razione normale."
L'incontro con Zavattini
In sanatorio, scoprì anche il desiderio: "Nel sanatorio vi era una sola donna, un'infermiera che non credo potesse essere una eccezionale bellezza. Lì era la sirena, la Circe di quasi trecento uomini, compresi gli agonizzanti". Lavora alla Borletti come magazziniere, alla Croce Rossa come autista d'ambulanza nei turni di notte, come fattorino, uomo delle pulizie, contabile. Intanto scrive racconti, a decine, e Zavattini che in quegli anni dirige un settimanalino di varietà edito da Rizzoli, Piccola, gliene pubblica uno. Gaetano Afeltra ha ricostruito e raccontato l' incontro tra Scerbanenco e Zavattini: "Scerbanenco si presentò con un impermeabile double-face, scamiciato, senza cravatta. Così vestito, con quella sua faccia lunga e scavata, parlò, parlò e non ci volle molto a Zavattini per capire chi era. Fu assunto in redazione e seduta stante consegnò il suo primo romanzo Il terzo amore. Giorgio Scerbanenco, futuro grande autore di gialli, o di giallo-neri, comincia come scrittore rosa. In poco tempo diventa il protagonista assoluto dei rotocalchi Rizzoli, in particolare di Novella, guadagna cifre notevoli, tiene rubriche di corrispondenza (su Bella di cui è direttore con lo pseudonimo Adrian), scrive migliaia di racconti, decine di romanzi, amareggiato, dice chi lo conobbe, solo dall'obbligo del lieto fine, lui che aveva una vera anima slava e che delle situazioni e degli amori preferiva cogliere l'aspetto dolente o malinconico. Lavorava alla macchina da scrivere con un ritmo da operaio alla catena di montaggio, quattro cartelle all'ora, capace di scrivere ovunque, in qualunque situazione, anche sulla spiaggia davanti alla cabina, quando andava al mare d'estate con la compagna e le due bambine Germana e Cecilia. E' stato Oreste del Buono a fiutare in lui il giallista e a spingerlo su quella strada. Con la spinta di del Buono Garzanti pubblica, dal 1966 in poi, Venere privata, Traditori di tutti, I ragazzi del massacro, I milanesi uccidono al sabato, Milano calibro 9. Il riconoscimento è immediato. Nel 1968 Scerbanenco guadagna a Parigi, il Grand Prix de la littérature policière, qualcuno entusiasmandosi scrive di lui: "Per un verso è Balzac, per un altro Simenon". Non è del tutto vero. Scerbanenco non è Balzac e lui per primo non ha mai pensato di esserlo. Però equivale a Simenon, su questo non ci sono dubbi, anzi è il solo scrittore italiano del genere che possa essere confrontato al grande francese, e non è detto, mettendo da parte i romanzi non gialli di Simenon, chi dei due abbia dato di più in termini di uomini e donne coinvolti in fatti di sangue e d'omicidio. Venere privata, per esempio, è il primo romanzo della serie in cui compare Duca Lamberti, l'equivalente di Maigret. Solo che Maigret è un poliziotto, sia pure a suo modo, Lamberti invece è un medico, anzi un medico radiato dall'Ordine per un caso di eutanasia, un uomo che, a torto o a ragione, si sente offeso dalla morale ufficiale e si muove lungo un discutibile crinale etico tutto suo in cui crede profondamente. Un protagonista così basta da solo a dare un sapore particolare alle vicende alle quali si mescola. Intorno c'è la Milano degli anni in cui la criminalità si apprestava a fare il grande salto: tratta delle bianche, le prime timide partite di droga e di armi da contrabbandare. Gangster molto impacciati rispetto a quelli che abbiamo conosciuto nei vent'anni successivi a questi romanzi, criminali che sono per metà manager per metà ancora artigiani. Ulrico Brambilla, quello che in Traditori di tutti dirige il losco traffico, è anche uno che gestisce come copertura alcune macellerie, tra una partita di merce e l'altra, sta dietro al banco e taglia fese e filetti, "un gangster macellaio". La ragazza che va da Lamberti a farsi ricostruire l' imene in vista delle nozze, recita anche lei una doppia parte, vamp da un lato, dall'altro una povera tipa di brianzola molto strapazzata dalla vita e dagli uomini. Della criminalità vera, quella che sarebbe venuta dopo, quella di oggi, ci sono già i connotati crudeli: le botte e le sevizie, le uccisioni gratuite, i tormenti e le umiliazioni. Le tecniche dei fuorilegge e la dimensione dei loro affari con gli anni si sono perfezionate, ma la spietatezza accompagnò il grande crimine fin dai primi passi. Al mondo del male che lo circonda quasi da ogni parte, Duca Lamberti oppone una sua ideologia che sembrerebbe reazionaria se Lamberti non fosse un uomo che scavalca la morale ufficiale, sia da destra che da sinistra, indifferentemente: "Non si può, non si può, la legge proibisce d'ammazzare le canaglie, anzi specialmente queste devono avere sempre un avvocato difensore, un processo regolare e un verdetto ispirato alla redenzione del disadattato, mentre invece si può, senza alcun permesso, innaffiare di proiettili due carabinieri di pattuglia, o sparare in bocca a un impiegato di banca che non si sbriga a consegnare le mazzette dei biglietti da diecimila lire...". La mia idea è che il riconoscimento che Scerbanenco sicuramente meritava sia stato impedito in parte dal provincialismo, in parte da questa sua ideologia che ogni tanto si affaccia nelle sue avventure. Visse i suoi ultimi anni (morì nel 1969) in un periodo in cui cose del genere non si potevano nemmeno concepire. Oggi che non è più così, si potrebbe finalmente recuperare quella che del Buono ha chiamato: la sua mistura slava, la capacità di fiutare il male e il dolore, l'umiliazione e il dolore, il delitto e il castigo.

CORRADO AUGIAS

Edited by irene48 - 11/3/2010, 11:23
 
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tommaso berra
view post Posted on 6/3/2010, 20:59




Mi viene da fare qualche considerazione d'istinto su questo pezzo di Augias e quindi mi scuso se non sarò rigoroso, ringraziando irene48 di questo nuovo contributo e pregandola di correggere alcune cose tornando in edit: 1) le parole apostrofate hanno un maledetto spazio di troppo, veramente fastidioso; l'articolo cartaceo aveva dei titoletti interni, usati per spezzare, che nella trascrizione telematica risultano come testo normale. Irene48 dovrebbe individuarli, metterli in neretto e magari andare da capo. Dette queste pignolerie (picinuserie si dice dalle mie parti), torno ad Augias.
1) Mi pare recepisca acriticamente la definizione, che attribuisce a Del Buono, di Scerbanenco "grande professionista del romanzo minore". Forse all'epoca Augias non l'aveva ancora letto o letto bene. Anche perché mi pare si contraddica un po'. Lasciamo stare i paragoni con Balzac, ma mette Scerbanenco sullo stesso piano di Simenon. E Simenon sarebbe un romanziere minore? Non scherziamo.
2) "Il terzo amore" non è propriamente il primo romanzo di Giorgio. E' il secondo (1938). Il primo fu "Gli uomini in grigio" (1935) che uscì a puntate sul "Novellino". E non era un rosa, ma un romanzo di spie.
3) L'affermazione finale di Augias è grave, sia pure condivisibile, anche se da parte sua si nota una certa acquiescenza. Scerbanenco (anch'io lo sospetto e da qualche parte l'ho scritto in questo forum) non ebbe la fortuna che meritava a causa di pregiudizi politici. Perché era anticomunista (ma fu anche ferocemente antifascista quando prese consapevolezza di certe cose a causa della guerra, forse Augias non lo sapeva quando scrisse questo articolo) e perché sospetto di reazionarismo per la figura di Duca Lamberti. Ma Augias non si scandalizza: sembra dirci così andava l'Italia. Si poteva essere un grande scrittore ma se considerato di destra (ed io aggiungerei non affiliato a qualche congrega anche di altro colore) non venivi riconosciuto tale. Bene fa Augias a prendere le distanze, a proposito di Duca, con quel "sembrerebbe reazionaria", ma è tuttavia timido. Non protesta come dovrebbe, a mio modesto avviso (sarebbe bastata una parolina in più), di fronte ad un possibile scempio culturale del genere. Céline era un uomo di estrema destra, Balzac era un fior di reazionario, Pirandello insegnava in camicia nera e l'elenco potrebbe allungarsi. Li emarginiamo per questo? Ma stiamo scherzando? Avrei voluto leggere da Augias qualcosa di meno pilatesco, mi sarei aspettato un po' più di coraggio.
P.S. Tommaso Berra sente il bisogno a questo punto di dire, ad evitare equivoci, che egli come cittadino italiano si colloca su un versante politico di sinistra democratica e non ama neppure l'abusata parola "moderato" dietro la quale si nascondono spesso schifezze di vario tipo. Ma i romanzieri si giudicano con altro metro. E poi, Scerbanenco non era un reazionario, e di questo potremmo e dovremmo discutere.

Edited by tommaso berra - 7/3/2010, 10:06
 
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Grea[t]!
view post Posted on 7/3/2010, 11:51




Mi piace tanto la risposta di tommaso ad Augias, avrei voluto scriverla io (perchè penso le stesse cose), ma non avrei saputo scriverla così bene. Premetto che questo articolo non era sfuggito alla ricerca nell'archivio di Repubblica, ma non mi era molto piaciuto, perchè Augias poteva fare di più, senza dubbio alcuno. Ho sbagliato però a non pubblicare ugualmente questo articolo - e ringrazio Irene di averlo fatto - perchè è sempre una santa cosa confrontarsi insieme anche su ciò che non ci appaga totalmente.
A margine: ho modificato leggermente la formattazione del testo, ho eliminato lo spazio prima degli apostrofi ed aggiunto qualche virgolettato che quasi sempre negli archivi giornalistici si perde.
Sull'articolo vorrei fare una provocazione.
Certamente la rivalutazione di Scerbanenco non passa da articoli come questi, sia per l'imprecisione (grave) su Il terzo amore, sia nel riportare la definizione (ma quando mai Oreste del Buono lo ha detto?) di Scerbanenco autore di romanzi minori, per di più dando per scontato, senza approfondire, l'equazione Scerbanenco = Simenon. Non un buon inizio certamente.
Citerei anche la prima parte dell'articolo, in cui Augias riporta sommariamente e male le pagine autobiografiche di Venere Privata, pubblicate nell'edizione Garzanti 99 ma certamente fonte del giornalista.
Non si può riportare come un fatterello la storia della 'k' che scompare e dell'italianizzazione in Giorgio Scerbanenco. Non si può fare perchè questa decisione fu un fatto simbolico, la presa di coscienza di una situazione che faceva soffrire incredibilmente lo scrittore di Kiev: Scerbanenco a Milano (dove matura tale decisione) si sente straniero non perchè lo è, ma perchè così lo fanno sentire. Sentirsi italiano dentro ed essere visto (fuori) solo attraverso un cognome tipico dell'est fu motivo di grande dolore per Giorgio, proveniente dall'accogliente Roma, luogo d'infanzia tanto amato. Come dice tommaso, due paroline in più non sarebbero guastate, altrimenti basta citare il fatto della 'k'.
Ancora. Scerbanenco alto, magro, tisico che a stento riusciva a mangiare. Non è proprio così. Appena arrivato a Milano, Scerbanenco inizia subito a lavorare e la sera mangia tranquillamente, anche se non è ancora esploso come scrittore attraverso Zavattini. Mangia e studia, in trattoria, pag. 234 di Venere privata, ho appena controllato. Tempi non piacevoli, certamente, ma gli stenti che Augias lascia intravedere non ci sono. "Lavorando, stavo diventando ricco, e non stavo più nel dormitorio comune, ma avevo la stanzetta che costava di più." Poi c'è il sanatorio dove Giorgio è tenuto solo per scrupolo, visto che i medici di Cuasso al Monte "mi avrebbero voluto rimandare a casa, dicevano che avevano dei malati seri, ma poi mi tennero."
Infine il punto terzo di tommaso è forse quello dove Augias è mancato di più. Due righe per spiegare il perchè Scerbanenco non è valutato come merita nel 900 italiano sono probabilmente un po' pochine. Soprattutto per un pezzo che inizia con l'ascia di guerra in mano e cita le nuove uscite editoriali Garzanti, in nome di Scerbanenco.
 
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tommaso berra
view post Posted on 7/3/2010, 14:28




Anche a me è sorto il dubbio che Del Buono non abbia mai parlato di Scerbanenco autore di romanzi minori, sia pure quale "grande". Del Buono ci ha martoriato semmai con la (peraltro simpatica e vera) frase su Scerbanenco "straordinaria macchina per scrivere". Chissà Augias dove l'ha presa la sua citazione. Ma può darsi che si sia confuso. Per dirla tutta: ho l'impressione che vent'anni fa, quando scrisse questo articolo, Augias conoscesse poco Scerbanenco. Naturalmente ha delle attenuanti, perché in tanti vent'anni fa lo conoscevano poco. Romanzi come "Non rimanere soli", quelli del ciclo messicano o racconti come "Uomini ragno" erano scomparsi dalla circolazione, "Annalisa" era inedito. Lo Scerbanenco "moralista" de "Il mestiere di uomo" era altrettanto sconosciuto. Speriamo che nel frattempo Augias abbia colmato le lacune e possa darci qualche robusta riflessione su Scerbanenco.
 
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irene48
view post Posted on 9/3/2010, 19:50




Vorrei dire qualcosa anch’io sull’articolo di Augias che ha scatenato il risentimento scerbanenchiano di Tommaso e di Scerbancredi, ma prima voglio assicurare Tommaso che ho riletto attentamente il testo dove, nonostante la ripulitura del nostro Amministratore, c’erano ancora 6 “spazi fastidiosi” dopo l’apostrofo (tanta “picinuseria”, ahimè, mi è molto familiare…). Non sono riuscita, però, a individuare i titoletti interni (nel testo archiviato su Repubblica.it, manacano, e temo di fare un’operazione arbitraria, introducendoli).
Vengo dunque al testo di Augias.
Confesso, anche se potrò apparire una voce dissonante in un forum dove mi pare che il tono sia sempre quello dell’elogio - per carità ben argomentato e spesso condiviso anche da me - che nelle critiche di Tommaso e di Scerbancredi ci sia qualche preconcetto, come onestamente dichiara Scerbancredi quando afferma il motivo che lo aveva spinto a cestinare Augias. Mi pare che questo rischio vada considerato attentamente, per evitare che il forum si trasformi in un consesso di apologeti; non mi pare che questo sia lo spirito con il quale è nato e mi auguro che le discussioni possano animarsi anche con gli apporti di contributi che non sono in linea con il pensiero dominante. La rivalutazione di Scerbanenco passa anche dal riconoscimento che non tutto quello che ha scritto è apprezzabile nello stesso modo, che ci possano essere dei limiti e delle cadute di livello, anche considerando la sua eccezionale prolificità.
Quanto al giudizio di Augias, certamente pesa su di lui, anche se la citazione riportata è attribuita a O. del Buono, una visione gerarchica dei generi letterari che è dura a morire e che sopravvive anche inconsciamente nell’immaginario collettivo, per cui S. è un “grande professionista del romanzo minore” (una sorta di ossimoro); ma credo che, soprattutto nel periodo in cui scrive, egli fosse in buona compagnia. A parte questo, mi pare del tutto condivisibile la valutazione sulla morale scerbanenchiana che troviamo in chiusura dell’articolo: “Al mondo del male che lo circonda quasi da ogni parte, Duca Lamberti oppone una sua ideologia che sembrerebbe reazionaria se Lamberti non fosse un uomo che scavalca la morale ufficiale, sia da destra che da sinistra, indifferentemente”. Poteva dire di più, poteva approfondire meglio questo giudizio e mettere in evidenza, a questo proposito, l’autonomia intellettuale di uno scrittore che non si lascia condizionare dal pensiero unico del tempo in cui scrive (sia l’ideologia comunista che quella reazionaria e fascista). Ci sta, ma non me la prenderei più di tanto. Mi basta il giudizio complessivo nel quale, in base alle mie esperienze di lettura – non vaste come quelle di Tommaso e di Scerbancredi – io mi sono riconosciuta: “La mia idea è che il riconoscimento che Scerbanenco sicuramente meritava sia stato impedito in parte dal provincialismo, in parte da questa sua ideologia che ogni tanto si affaccia nelle sue avventure. Visse i suoi ultimi anni (morì nel 1969) in un periodo in cui cose del genere non si potevano nemmeno concepire. Oggi che non è più così, si potrebbe finalmente recuperare quella che del Buono ha chiamato: la sua mistura slava, la capacità di fiutare il male e il dolore, l'umiliazione e il dolore, il delitto e il castigo”.
Per il resto non posso che trovarmi d’accordo con le considerazioni di Tommaso oltre che con le correzioni di Scerbancredi, che denotano la sua approfondita conoscenza del nostro scrittore.
 
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tommaso berra
view post Posted on 9/3/2010, 20:27




Fa bene irene48 a ricordarci che il modo migliore di valutare e onorare Scerbanenco consiste in una sorta di equilibrio critico, vista la sua sterminata produzione. E fa bene anche a farci riflettere sulla sostanza del giudizio di Augias (non considerando le inesattezze per le quali gli concediamo volentieri le attenuanti di cui ho parlato in precedenza): non essere stato Scerbanenco apprezzato in vita a causa di provincialismo e pregiudizi politici. Io condivido questo giudizio, come ho già detto, e ribadisco che sarebbe stata diversa la sua fortuna culturale (è un'ipotesi naturalmente) se egli si fosse affiliato a qualche congrega dominante nel campo della cultura. Ma Giorgio era un uomo molto indipendente, schivo e di grande dignità. Mi sarebbe piaciuto che Augias si fosse scandalizzato per il trattamento che Scerbanenco ha avuto, per l'assurdità tutta italiana, temo, di una critica letteraria condizionata dalle simpatie politiche, ma onestamente questo è secondario. E' un desiderio sentimentale. Conta la sostanza, e la sostanza è condivisibile. E allora diciamola tutta: nel complesso quello di Augias è un buon articolo, soprattutto tenuto conto che è stato scritto vent'anni fa. E il finale è suggestivo: "... la sua mistura slava, la capacità di fiutare il male e il dolore, l'umiliazione e il dolore, il delitto e il castigo". Di fiutare e direi, molto semplicemente, di comprendere la vita attraverso la sua dialettica più profonda di amore e morte.
 
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Grea[t]!
view post Posted on 19/3/2010, 21:23




CITAZIONE (irene48 @ 9/3/2010, 19:50)
Vengo dunque al testo di Augias.
Confesso, anche se potrò apparire una voce dissonante in un forum dove mi pare che il tono sia sempre quello dell’elogio - per carità ben argomentato e spesso condiviso anche da me - che nelle critiche di Tommaso e di Scerbancredi ci sia qualche preconcetto, come onestamente dichiara Scerbancredi quando afferma il motivo che lo aveva spinto a cestinare Augias. Mi pare che questo rischio vada considerato attentamente, per evitare che il forum si trasformi in un consesso di apologeti; non mi pare che questo sia lo spirito con il quale è nato e mi auguro che le discussioni possano animarsi anche con gli apporti di contributi che non sono in linea con il pensiero dominante. La rivalutazione di Scerbanenco passa anche dal riconoscimento che non tutto quello che ha scritto è apprezzabile nello stesso modo, che ci possano essere dei limiti e delle cadute di livello, anche considerando la sua eccezionale prolificità.

Sposo in pieno le tue parole, Irene, e le evidenzio in grassetto. La nostra community deve essere uno scambio di idee e opinioni, tutte ben accette e valide, anche e soprattutto quelle che contrastano l'idea collettiva o il gusto comune. Il soprattutto nasce dalla convinzione personale che si cresce quando c'è diversità di vedute, quando l'altro ci fa vedere quello che prima non vedevamo.
Mi spiacerebbe però se passasse un'idea diversa da quella che volevo esprimere. Augias è Augias, e Scerbancredi ne riconosce l'autorevolezza e lo spessore. Questo è indubbio, ci mancherebbe. Il non aver pubblicato l'articolo è stato semplicemente un errore di superficialità, distrazione e non di arroganza: non ho visto in questo testo la mano del bravo giornalista che è, soprattutto - parlo delle mie motivazioni, non di quelle più profonde portate da tommaso - in merito a delle conoscenze bio/bibliografiche che ritengo essenziali per una rivalutazione letteraria di Tizio o Caio.
Probabilmente avrà ragione, come spesso accade, tommaso quando dice che la conoscenza di Scerbanenco all'epoca non era poi così approfondita come adesso e che quindi si possono perdonare le inesattezze di Augias.
Riconosciuo il mio errore, ti ringrazio per la tua risposta che dimostra con quanta forza e interesse tu tenga alla crescita di questo nostro spazio letterario. :)
 
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tommaso berra
view post Posted on 20/3/2010, 01:57




[QUOTE=Grea[t]!,19/3/2010, 21:23]
CITAZIONE (irene48 @ 9/3/2010, 19:50)
Probabilmente avrà ragione, come spesso accade, tommaso quando dice che la conoscenza di Scerbanenco all'epoca non era poi così approfondita come adesso e che quindi si possono perdonare le inesattezze di Augias.

Tutto perfetto, caro Scerbancredi, tranne quest'ultimo punto: la conoscenza di Scerbanenco è ancora molto fragile e, come ho fatto notare in altra sezione, circolano troppe rimasticature. Ma per fortuna c'è Scerbanenco Scrive, che non è naturalmente infallibile, ma ci crede.
 
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Van Hanegem
view post Posted on 3/6/2010, 13:38




Probabilmente Augias definendo Scerbanenco come genio di un genere minore ha espresso un concetto che gli appartiene.
Non vorrei farne una questione ideologica o politica ma presso certi ambienti il giallo, il noir, il thriller, il poliziesco sono tutti considerabili come generi minori.
Tutto ciò che è popolare , secondo quest'ottica, è minore.
Per quanto attiene le ragioni della scarsa considerazione attribuita a Scerbanenco, Augias dice (riferendosi al momento in cui scrive, ovvero il 1990) che in Italia funzionava così. In realtà non credo che le cose siano poi cambiate tanto; funzionava e funziona così.
E' l'intellighenzia che si arroga il diritto di indicare ciò che vale da ciò che non merita grande considerazione. Ovviamente spesso un'opera cinematografica, letteraria, di qualsiasi genere, capace di risultare tediosa e far sbadigliare vien spesso considerata elitaria, giusta, saggia, grandiosa.
 
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tommaso berra
view post Posted on 3/6/2010, 16:09




CITAZIONE (Van Hanegem @ 3/6/2010, 14:38)
Probabilmente Augias definendo Scerbanenco come genio di un genere minore ha espresso un concetto che gli appartiene.
Non vorrei farne una questione ideologica o politica ma presso certi ambienti il giallo, il noir, il thriller, il poliziesco sono tutti considerabili come generi minori.
Tutto ciò che è popolare , secondo quest'ottica, è minore.
Per quanto attiene le ragioni della scarsa considerazione attribuita a Scerbanenco, Augias dice (riferendosi al momento in cui scrive, ovvero il 1990) che in Italia funzionava così. In realtà non credo che le cose siano poi cambiate tanto; funzionava e funziona così.
E' l'intellighenzia che si arroga il diritto di indicare ciò che vale da ciò che non merita grande considerazione. Ovviamente spesso un'opera cinematografica, letteraria, di qualsiasi genere, capace di risultare tediosa e far sbadigliare vien spesso considerata elitaria, giusta, saggia, grandiosa.

Interessante quel che scrive Van Hanegem, ma forse un po' generico nella sua critica, come se avesse voluto sparare nel mucchio. Io non so quale sia la formazione culturale di Corrado Augias pur essendo informato che si tratta di un intellettuale di sinistra. Ma non basta questo per dire che "presso certi ambienti" il giallo e il noir sono considerati generi minori per una sorta di supponenza intellettuale elitaria e di fatto anti-popolare. Chiedo a Van Hanegem: quali ambienti? Quale sinistra? E gli ricordo - può leggere qui, in Bacheca, il mio intervento in materia - che il grande Giuseppe Petronio, che ha scritto pagine e pagine contro l'idea che giallo e noir fossero generi minori, era un uomo di sinistra di formazione marxista. E visto che Van Hanegem anima un sito che si chiama "Nazionalpopolare 70" mi permetto di ricordargli che questo termine risale a Gramsci il quale (come Gioberti) era convinto che una letteratura non può essere nazionale se non è popolare.
 
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Van Hanegem
view post Posted on 3/6/2010, 21:30




Presso ambienti che oggi, usando un'espressione piuttosto inflazionata, potrei definire di radical chic.
Ovviamente sono d'accordo sul fatto che Augias rappresenti una tipologia di intellettuale radical chic sopportabile, dato che si pone in termini sempre gradevoli e misurati.
Un giorno lessi un'intervista all'attrice Isabella Ferrari nella quale diceva candidamente di non aver mai letto Follett per partito preso, semplicemente perchè lo riteneva "troppo commerciale".
Ovviamente, dopo averlo conosciuto, si è ricreduta e se non sbaglio ha fatto anche qualcosa su una sua sceneggiatura.
Parlo semplicemente di un certo snobismo che indubitabilmente è presente anche presso la parte opposta (quelli che un tempo erano i "neri").
Se poi mi si citano delle eccezioni, benissimo, ne prendo atto.
Il titolo del mio blog l'ho scelto perchè volevo discorrere di cultura popolare, che a me fa tutt'altro che schifo. E nella cultura popolare c'è il calcio, la televisione, le starlettes, un certo tipo di musica e di film. Che la letteratura non possa essere nazionale senza essere popolare mi sta benissimo, così come un certo tipo di cinema. Basterebbe ricordarlo anche ad altri, per i quali esiste soltanto il genere d'autore. :D
Se poi Scerbanenco era anche anticomunista, non ci si può sorprendere se non sia stato adeguatamente valorizzato. O se non si siano proprio impegnati alla morte per valorizzarlo. In un Paese dove il monopolio della "cultura", dal dopoguerra ad oggi, è stato della sinistra.
 
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tommaso berra
view post Posted on 3/6/2010, 22:10




CITAZIONE (Van Hanegem @ 3/6/2010, 22:30)
Presso ambienti che oggi, usando un'espressione piuttosto inflazionata, potrei definire di radical chic.
Ovviamente sono d'accordo sul fatto che Augias rappresenti una tipologia di intellettuale radical chic sopportabile, dato che si pone in termini sempre gradevoli e misurati.
Un giorno lessi un'intervista all'attrice Isabella Ferrari nella quale diceva candidamente di non aver mai letto Follett per partito preso, semplicemente perchè lo riteneva "troppo commerciale".
Ovviamente, dopo averlo conosciuto, si è ricreduta e se non sbaglio ha fatto anche qualcosa su una sua sceneggiatura.
Parlo semplicemente di un certo snobismo che indubitabilmente è presente anche presso la parte opposta (quelli che un tempo erano i "neri").
Se poi mi si citano delle eccezioni, benissimo, ne prendo atto.
Il titolo del mio blog l'ho scelto perchè volevo discorrere di cultura popolare, che a me fa tutt'altro che schifo. E nella cultura popolare c'è il calcio, la televisione, le starlettes, un certo tipo di musica e di film. Che la letteratura non possa essere nazionale senza essere popolare mi sta benissimo, così come un certo tipo di cinema. Basterebbe ricordarlo anche ad altri, per i quali esiste soltanto il genere d'autore. :D
Se poi Scerbanenco era anche anticomunista, non ci si può sorprendere se non sia stato adeguatamente valorizzato. O se non si siano proprio impegnati alla morte per valorizzarlo. In un Paese dove il monopolio della "cultura", dal dopoguerra ad oggi, è stato della sinistra.

L'ora è tarda e non consente particolari approfondimenti. Il nuovo intervento di Van Hanegem mi sembra però più equilibrato e sostanzialmente condivisibile. Ha infatti circoscritto il bersaglio, limitandosi a quel radical chic che è espressione inflazionata, come lui dice, ma rende bene il concetto. Storicamente con il popolo, per il riscatto delle classi emarginate, c'è la sinistra e quindi la cultura di sinistra o progressista che dir si voglia. Che poi all'interno della sinistra ci siano state delle degenerazioni o involuzioni in senso autoreferenziale è sicuramente vero, tanto che la sinistra sta pagando duramente per questo, e la sua cultura balbetta. L'eccezione è questa, ma Van Hanegem scambia la regola per l'eccezione. Ma questo sarebbe un discorso molto, molto lungo. Sono però d'accordo con Van Hanegem quando dice che alla valorizzazione di Scerbanenco ha nuociuto il suo anticomunismo. Ma attenzione: 1) Scerbanenco è stato un anticomunista democratico. Il suo disprezzo verso il totalitarismo nazifascista non è mai venuto meno; 2) Scerbanenco ha espresso in qualche opera anche disagio verso l'anticomunismo americano di tipo maccartista, lui che era certamente un filo-americano; 3) Alla valorizzazione di Scerbanenco ha anche nuociuto, nell'Italia clericale degli anni '50, il suo essere uno spirito libero. Rispettoso della dimensione religiosa ma laico, divorzista, critico dei costumi bacchettoni. Nell'Italia dominata a sinistra dal Pci e sul versante di centro-destra da una Dc rigidamente controllata (e ricattata) da gerarchie cattoliche abbastanza retrive (lo stesso De Gasperi ebbe più d'una giornata amara), Giorgio era il classico vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. Mi fermo qui, ma quanti discorsi ci sarebbe da fare. Comunque, caro Van Hanegem, viva l'Italia, possibilmente più pulita.
 
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Van Hanegem
view post Posted on 4/6/2010, 11:48




Ma infatti, dal mio punto di vista, bisognerebbe assumere una posizione antitotalitaria per essere davvero coerenti e credibili. Che Scerbanenco sia stato antocomunista ed antinazista non può che starmi bene.
Riguardo ai radical chic, vorrei dire che nella bozza del post avevo introdotto questa categoria ma poi ho rinunciato per non fare uno scritto troppo politico o polemico(d'altronde non conoscendo il forum non volevo entrare troppo duramente, per usare un gergo calcistico).
 
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tommaso berra
view post Posted on 4/6/2010, 12:00




CITAZIONE (Van Hanegem @ 4/6/2010, 12:48)
Ma infatti, dal mio punto di vista, bisognerebbe assumere una posizione antitotalitaria per essere davvero coerenti e credibili. Che Scerbanenco sia stato antocomunista ed antinazista non può che starmi bene.
Riguardo ai radical chic, vorrei dire che nella bozza del post avevo introdotto questa categoria ma poi ho rinunciato per non fare uno scritto troppo politico o polemico(d'altronde non conoscendo il forum non volevo entrare troppo duramente, per usare un gergo calcistico).

Un utile confronto, dunque, con onestà intellettuale. Ne sono lieto, caro Van Hanegem. Non capisco però che cosa sia la bozza del post. Io ho preso atto che hai parlato di radical chic e mi sta bene. Che a quest'area appartenga Augias non saprei dire, né tanto meno che ne faccia parte Isabella Ferrari, che apprezzo comunque come attrice. Forse il miglior "Distretto di polizia" è il suo. Che ne dici?

Edited by tommaso berra - 4/6/2010, 13:32
 
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Van Hanegem
view post Posted on 5/6/2010, 17:58




La bozza del post sarebbe l'anteprima, quella che si usa per controllare di non aver scritto qualche boiata... :lol:
Per quanto riguarda "Distretto di polizia" -ora non vorrei fare io lo snob- ma sinceramente non lo seguo. Nè poliziotti, nè carabinieri, nè preti...
 
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16 replies since 6/3/2010, 16:41   276 views
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