| Caro Scerbancredi, grazie per la lunga e appassionata "recensione" di "Appuntamento a Trieste". Non ho titolo per intervenire visto che non ho ancora letto questo romanzo. Ma mi ha colpito quel che scrivi a proposito del mancato approfondimento delle atmosfere triestine. Ecco quindi che mi sono ricordato di un articolo letto tempo fa, che avrei voluto pubblicare nella sezione "Scerbanenco quotidiano", ma poi m'è passato di mente. Lo faccio ora, perché tra l'altro l'autore scrive che Claudio Magris, il più grande triestino dei nostri giorni, considera Giorgio un triestino acquisito. Trieste in effetti torna spesso nei romanzi di Scerbanenco: "I diecimila angeli", "La mano nuda", "Anime senza cielo", "Al mare con la ragazza" e chi sa quanti altri che in questo momento mi sfuggono o non conosco. L'autore di questo articolo, Diego Zandel, triestino, mi pare che la pensi diversamente da te circa le descrizioni triestine del romanzo. Ma non è detto che abbia ragione.
SCERBANENCO TRIESTINO (da borderfiction.it) Inviato da Diego Zandel
Per un certo periodo, quand'ero molto giovane, prima di diventare lettore professionale, cioè che ha l'obbligo di documentarsi quando scrive un articolo su un autore o un libro, credevo, per patriottismo regionale, che Giorgio Scerbanenco fosse triestino. Me lo faceva pensare il cognome. L'origine, certo, a leggere i nomi di alcuni sovietici famosi, da Evtuscenko a Cernenko, il vice di Andropov, a Kiricenko, era ucraino. Ma Trieste, per la sua posizione di frontiera verso l'est, si è sempre prestata ad essere un luogo che raccoglieva gente proveniente da oltre i confini orientali. Tradizionalmente è una città multietnica, che nei secoli ha accolto greci, turchi, serbi, russi, per non parlar di austriaci, tedeschi, israeliti e così via, ciascuno con la sua lingua e la sua confessione religiosa. Si tenga presente che a Trieste vi sono chiese e templi storici di tutte le più importanti comunità religiose, compresa la Chiesa Evangelica Augustana e la Chiesa della Comunità di lingua tedesca e una tra le più grandi sinagoghe d'Europa e due grandi chiese ortodosse, autentiche cattedrali, ed altre che non starò qui a nominare. E, poi, avevo avuto sentore che Scerbanenco, proveniente con la madre da Kiev, dov'era nato, si era pure fermato per un certo tempo a Trieste. Che non mi sbagliavo di molto sulla "triestinità" di Scerbanenco, mi ha dato conferma un articolo recente scritto addirittura da Claudio Magris, il quale, per parlare di uno scrittore tedesco che vive a Trieste, Veit Heinichen, noto per i suoi romanzi polizieschi ambientati nel capoluogo giuliano, ha citato Scerbanenco proprio in virtù della sua triestinità acquisita. Ve la cito tutta la frase di Magris: "Multiforme e ambivalente, la letteratura triestina non ha tuttavia conosciuto il 'giallo', il romanzo poliziesco o di spionaggio, queste versioni avventurose (talora di intrattenimento o di consumo, talora intensamente poetiche) della ricerca della realtà e dell'identità. Ad arricchirla di questo genere, sono stati due scrittori 'non indigeni', ma triestinizzati: in passato, per breve tempo, il grande russo-milanese Giorgio Scerbanenco, e ora stabilmente, e mettendovi radici, il tedesco Veit Heinichen". Dunque, avevo le mie ragioni. Tanto più che uno dei primi romanzi che mi era capitato di leggere di Giorgio Scerbanenco (forse perché vivevo in una comunità di profughi istriani e fiumani, di quella parte cioè della Venezia Giulia passata, dopo la guerra alla ex Jugoslavia) era stato "Appuntamento a Trieste", un romanzo non solo, in ragione del titolo, ambientato a Trieste e, per giunta, negli anni 50, quando la città era ancora occupata dagli angloamericani (sarebbe tornata definitivamente all'Italia nel 1954), ma descritta con una precisione, con tanto di vie, che chi ci ha vissuto e ne è abitualmente lontano non può non provare, mentre legge la storia di Diana e Kirk, sull'assurdo sfondo politico del tempo, un'acuta nostalgia. C'è via Cesare Battisti, "larga, chiara dolce via Battisti", Riva 3 novembre, Riva Nazario Sauro, il Molo Pescheria, c'è addirittura via del Molino a Vento, citato il numero 1, ed io avevo un amico che abitava all'80, il cinema Fenice, l'hotel Milano, vicino alla stazione, e l'hotel Savoia, e poi c'è Barcola e il mare, azzurro, nel golfo ampio così come lo vedi quando arrivi col treno o in auto lungo la strada costiera, con l'occhio che afferra i primi tratti della costa istriana... Era bello se Scerbanenco si fosse fermato a Trieste. Con quel cognome lì, magari lasciando l'originaria e originale k, e poi con quel primo nome proprio che ha cassato dalla sua firma, Vladimir, così come, seppur più italianamente Vladimiro, ce ne sono diversi a Trieste. E, invece, i milanesi l'hanno fatto proprio. Lui s'è fatto milanese. E, per me, allora, quando me ne sono reso conto, se non una diminutio, è stata sicuramente una piccola delusione. Vuoi mettere gli stimoli che ti dà una città di frontiera, di spie, con i suoi popoli, gli orizzonti del mare davanti, e le strade che, dalla parte opposta ti portano a oriente e ai mari del nord, vuoi mettere tutto questo con una metropoli di pianura e la gente che dice "un attimino"?
E visto che stiamo parlando di Trieste, che tommaso berra ha avuto la fortuna di visitare un paio di volte, e ne è rimasto incantato, anche per via di qualche buon bicchiere di Terrano, rendiamo omaggio a questa meravigliosa città italiana e al suo vate, Umberto Saba, riportando i suoi classici versi:
TRIESTE
Ho attraversato tutta la città. Poi ho salita un'erta, popolosa in principio, in là deserta, chiusa da un muricciolo: un cantuccio in cui solo siedo; e mi pare che dove esso termina termini la città. Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore; come un amore con gelosia. Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via scopro, se mena all'ingombrata spiaggia, o alla collina cui, sulla sassosa cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa. Intorno circola ad ogni cosa un'aria strana, un'aria tormentosa, l'aria natia. La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva.
Edited by tommaso berra - 25/4/2010, 09:31
|