Appuntamento a Trieste

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Grea[t]!
view post Posted on 22/4/2010, 17:41




Dopo una non breve riflessione mi sento di poter dire che Appuntamento a Trieste non è uno dei migliori Scerbanenco, per niente. Ho ragionato molto su questo romanzo perché la prima sensazione che mi ha lasciato è stato un senso di disorientamento, di interdizione, che non ti fa pentire della lettura ma che porta inevitabilmente a chiedersi: “E beh? Allora?”.
Non mi pento della lettura solo perché lo stile di Scerbanenco non delude mai: semplice, scorrevole, completo di ogni strategia narrativa e soprattutto lieve, scongiurando così il rischio che la pesantezza prenda il sopravvento spingendoci a chiudere il libro e finirla li. Anche in Appuntamento dunque la lettura resta piacevole.
Il problema nasce quando la scorrevolezza del romanzo non è supportata da una trama solida. Leggi, sfogli pagina, leggi ancora. Sei in attesa di qualcosa, non sai bene cosa, ma aspetti e poiché conosci la penna dello scrittore rimani fiducioso fino alla fine. Questa è la principale sensazione che ho provato nel leggere Appuntamento: un’attesa continua, interminabile, piena di eventi e personaggi che potrebbero dare di più, ma che alla fine si riducono a contorno, ad insalatina, che difficilmente sazia il lettore. La fine, ben intesi, arriva, ma è ancora insipida, priva di soddisfazione sia perché un po’ la si riesce ad intuire sia perché, conseguentemente, troppo sempliciotta. Si potrebbe allora dire che Appuntamento a Trieste è un buon romanzo in potenza, in quanto contiene diversi spunti apprezzabili, ma alla fine resta, in atto, un romanzo molto debole, privo di quelle intensità ed esplosioni che, a mio parere, sarebbero state un toccasana per lo svolgimento della storia.
Eppure l’inizio è promettentissimo. Si profila un’avvincente storia di spie tra opposte fazioni. Da una parte c’è il “servizio” con il maggiore Holbes, Bett, il mastino Rogg e il capitano Kirk Mesana; dall’altra i cattivi, con l’organizzazione criminale anche’essa stracolma di spie. Se aggiungiamo a questo sfondo l’ultimo ingrediente, il più importante, e cioè Diana, la donna scerbanenchiana e la protagonista indiscussa del romanzo, sembrerebbe proprio che non manchi nulla per lo sviluppo di un altro bel racconto in pieno stile Scerbanenco. In effetti c’è tutto, ma pagina dopo pagina si scopre che manca molto, e vediamo perché.
Innanzitutto la prima e cocente delusione riguarda proprio la storia di spionaggio che risulta non approfondita nel modo giusto. Troppo sfocate sono le due fazioni in gioco, tanto è vero che al di la del già citato termine “servizio” Scerbanenco non ci spiega nulla, se non che questa organizzazione servisse proprio per il riconoscimento sottotraccia dei criminali meno conosciuti. In questo servizio di intelligence Kirk Mesana è l’arma in più, perché è il solo in grado di riconoscere un sospetto tra mille persone anche se camuffato ad arte. A Kirk basta visionare una sola volta le foto segnaletiche delle persone spiate e poi lui sarebbe stato in grado di riconoscerle in ogni luogo ed in qualunque circostanza. Sinceramente dopo la descrizione del capitano Mesana, mi sarei aspettato di vederlo in azione, a rischiare sul campo in un qualche compito, con prudenza e comunque nascostamente, come l'identità di spia impone. Invece mi ritrovo Kirk e Bett ad ascoltare e registrare decine di telefonate nel tentativo di scovare qualcosa, costretti anche loro all’immobilismo continuo nel chiuso di una segreta abitazione. Delusione enorme questa perché si sente l’assenza di pathos, non c’è azione, non ci sono quegli eventi che il lettore si aspetterebbe dalla trama filmica appena descritta, eventi che renderebbero l’intreccio vibrante, vivo e non attendista come invece si presenta.
Adesso, se si pensa a quanto Scerbanenco sia sensibile al fascino cinematografico, a quanto si ispiri per le sue trame al mondo del grande schermo - in gran parte dei suoi romanzi i riferimenti in tal senso sono sempre presenti -, mi stupisco e non poco di come lo scrittore non abbia approfondito meglio questo tono del romanzo. Era sicuramente lecito attendersi maggiore intensità una volta che si sceglie di collocare la storia in un contesto del genere.
Ecco poi la seconda delusione: la storia d’amore tra Kirk e Diana, o sarebbe meglio dire l’amore tra Kirk e Diana, nel senso più platonico del termine, visto che i due personaggi agiscono in mondi diversi per scelta tecnica. L’azione risulta discontinua, si procede a tratti, lunghi segmenti nei quali l’amore, la forza vitale prorompente che la morale scerbanenchiana ci insegna, va e viene, riaffiora per poi scomparire nuovamente. In questo contesto non c’è il personaggio forte che abitualmente sostiene il proprio amato nelle avversità: è vulnerabile Kirk da un lato, è preda Diana dall’altro, costretta a dimenticare Kirk ed abbandonata ad una vita più triste. Si rimane dunque nel limbo, in attesa di qualcosa.
Quello che accade verso la fine del romanzo è però un testacoda imprevisto, una follia della mente di Diana che lascia davvero stupiti, non solo perché, come già detto, il lettore è in attesa da troppo tempo, ma soprattutto perché quello che accade è troppo netto ed immotivato anche per l’immaginaria realtà di un romanzo. E se a volte un repentino cambio di rotta dà avvio ad un finale vibrante, purtroppo non è questo il caso. Si continua ad essere insoddisfatti e la concitata situazione conclusiva appare come una beffa terribile.
Peccato anche che non si approfondiscano descrittivamente le atmosfere cittadine di Trieste, anch’essa rimasta sullo sfondo e mai pitturata dalla sapiente mano di Giorgio. Preciso però che dicendo questo di Trieste vado a memoria e sono pronto a ritrattare nel caso in cui il lettore più attento di me riportasse un qualche significativo scorcio della città sfuggito alla mia attenzione.
Non c’è dubbio, quindi, che Appuntamento a Trieste è una forte delusione e, vista la smisurata bibliografia di Scerbanenco, non credo che rimarrà l’unica, come è normale che sia. Ma non sono forse le opere meno apprezzate a farci amare ancor di più, per contrapposizione, ciò che preferiamo?
Lasciatemi però concludere piacevolmente con qualcosa che forse mi ripaga in parte: mi riferisco alla digressione scenografica e al racconto dei giorni passati da Diana sul Lago di Garda, a Desenzano. Lì si che ritroviamo lo Scerbanenco conosciuto, con i suoi fermoimmagine e con le atmosfere intime degli abitanti della “Tempestina”, la vallata in cui lo zio di Diana gestisce la sua fabbrica di sacchetti di carta. Le poche pagine in cui si raccontano le cene in compagnia tra Diana, i suoi parenti e le famiglie dei lavoranti alla fabbrica sono gradevolissime, condite da quella semplicità popolare che possiamo ritrovare anche oggi nelle feste di paese e che Giorgio sa cogliere in modo straordinario.

“Come facette mammeta o saccio meglio ‘e te!” C’era chiasso, allegria, ma bonariamente, in famiglia. Tutti approfittarono della loro venuta per bere un altro bicchiere alla salute della nipotina, cioè di Diana, e del dottorino. E il giovanotto con la fisarmonica continuava: “Come facette mammeta o saccio meglio ‘e te!”, in napoletano molto triestino, che però doveva piacere perché lo applaudivano sempre.

 
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tommaso berra
view post Posted on 22/4/2010, 22:39




Caro Scerbancredi,
grazie per la lunga e appassionata "recensione" di "Appuntamento a Trieste". Non ho titolo per intervenire visto che non ho ancora letto questo romanzo. Ma mi ha colpito quel che scrivi a proposito del mancato approfondimento delle atmosfere triestine. Ecco quindi che mi sono ricordato di un articolo letto tempo fa, che avrei voluto pubblicare nella sezione "Scerbanenco quotidiano", ma poi m'è passato di mente. Lo faccio ora, perché tra l'altro l'autore scrive che Claudio Magris, il più grande triestino dei nostri giorni, considera Giorgio un triestino acquisito. Trieste in effetti torna spesso nei romanzi di Scerbanenco: "I diecimila angeli", "La mano nuda", "Anime senza cielo", "Al mare con la ragazza" e chi sa quanti altri che in questo momento mi sfuggono o non conosco. L'autore di questo articolo, Diego Zandel, triestino, mi pare che la pensi diversamente da te circa le descrizioni triestine del romanzo. Ma non è detto che abbia ragione.




SCERBANENCO TRIESTINO (da borderfiction.it)
Inviato da Diego Zandel

Per un certo periodo, quand'ero molto giovane, prima di diventare lettore professionale, cioè che ha l'obbligo di
documentarsi quando scrive un articolo su un autore o un libro, credevo, per patriottismo regionale, che Giorgio
Scerbanenco fosse triestino. Me lo faceva pensare il cognome.
L'origine, certo, a leggere i nomi di alcuni sovietici famosi, da Evtuscenko a Cernenko, il vice di Andropov, a Kiricenko,
era ucraino. Ma Trieste, per la sua posizione di frontiera verso l'est, si è sempre prestata ad essere un luogo che
raccoglieva gente proveniente da oltre i confini orientali. Tradizionalmente è una città multietnica, che nei secoli ha accolto
greci, turchi, serbi, russi, per non parlar di austriaci, tedeschi, israeliti e così via, ciascuno con la sua lingua e la sua
confessione religiosa. Si tenga presente che a Trieste vi sono chiese e templi storici di tutte le più importanti comunità
religiose, compresa la Chiesa Evangelica Augustana e la Chiesa della Comunità di lingua tedesca e una tra le più grandi
sinagoghe d'Europa e due grandi chiese ortodosse, autentiche cattedrali, ed altre che non starò qui a nominare. E, poi,
avevo avuto sentore che Scerbanenco, proveniente con la madre da Kiev, dov'era nato, si era pure fermato per un certo
tempo a Trieste.
Che non mi sbagliavo di molto sulla "triestinità" di Scerbanenco, mi ha dato conferma un articolo recente
scritto addirittura da Claudio Magris, il quale, per parlare di uno scrittore tedesco che vive a Trieste, Veit Heinichen, noto
per i suoi romanzi polizieschi ambientati nel capoluogo giuliano, ha citato Scerbanenco proprio in virtù della sua triestinità
acquisita. Ve la cito tutta la frase di Magris: "Multiforme e ambivalente, la letteratura triestina non ha tuttavia conosciuto il
'giallo', il romanzo poliziesco o di spionaggio, queste versioni avventurose (talora di intrattenimento o di consumo, talora
intensamente poetiche) della ricerca della realtà e dell'identità. Ad arricchirla di questo genere, sono stati due scrittori 'non
indigeni', ma triestinizzati: in passato, per breve tempo, il grande russo-milanese Giorgio Scerbanenco, e ora
stabilmente, e mettendovi radici, il tedesco Veit Heinichen".
Dunque, avevo le mie ragioni. Tanto più che uno dei primi romanzi che mi era capitato di leggere di Giorgio Scerbanenco
(forse perché vivevo in una comunità di profughi istriani e fiumani, di quella parte cioè della Venezia Giulia passata, dopo
la guerra alla ex Jugoslavia) era stato "Appuntamento a Trieste", un romanzo non solo, in ragione del titolo, ambientato
a Trieste e, per giunta, negli anni 50, quando la città era ancora occupata dagli angloamericani (sarebbe tornata definitivamente
all'Italia nel 1954), ma descritta con una precisione, con tanto di vie, che chi ci ha vissuto e ne è abitualmente lontano non può
non provare, mentre legge la storia di Diana e Kirk, sull'assurdo sfondo politico del tempo, un'acuta nostalgia. C'è via Cesare Battisti,
"larga, chiara dolce via Battisti", Riva 3 novembre, Riva Nazario Sauro, il Molo Pescheria, c'è addirittura via del Molino a Vento,
citato il numero 1, ed io avevo un amico che abitava all'80, il cinema Fenice, l'hotel Milano, vicino alla stazione, e l'hotel Savoia,
e poi c'è Barcola e il mare, azzurro, nel golfo ampio così come lo vedi quando arrivi col treno o in auto lungo la strada costiera, con
l'occhio che afferra i primi tratti della costa istriana...
Era bello se Scerbanenco si fosse fermato a Trieste. Con quel cognome lì, magari lasciando l'originaria e originale k, e
poi con quel primo nome proprio che ha cassato dalla sua firma, Vladimir, così come, seppur più italianamente Vladimiro,
ce ne sono diversi a Trieste. E, invece, i milanesi l'hanno fatto proprio. Lui s'è fatto milanese. E, per me, allora, quando
me ne sono reso conto, se non una diminutio, è stata sicuramente una piccola delusione. Vuoi mettere gli stimoli che ti dà
una città di frontiera, di spie, con i suoi popoli, gli orizzonti del mare davanti, e le strade che, dalla parte opposta ti portano
a oriente e ai mari del nord, vuoi mettere tutto questo con una metropoli di pianura e la gente che dice "un attimino"?

E visto che stiamo parlando di Trieste, che tommaso berra ha avuto la fortuna di visitare un paio di volte, e ne è rimasto incantato, anche per via di qualche buon bicchiere di Terrano, rendiamo omaggio a questa meravigliosa città italiana e al suo vate, Umberto Saba, riportando i suoi classici versi:


TRIESTE

Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un'erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un'aria strana, un'aria tormentosa,
l'aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.

Edited by tommaso berra - 25/4/2010, 09:31
 
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irene48
view post Posted on 26/4/2010, 12:31




Condivido la puntuale analisi di Great, alla quale vorrei aggiungere un particolare non secondario, che avvalora il suo giudizio complessivamente limitativo: la cornice, che racchiude il racconto centrale della storia di amore e spionaggio, è posticcia e immotivata. La presenza del narratore di primo grado (autodiegetico, per dirla in termini tecnici) che parla in prima persona raccontando una sua melensa e improbabile storia d'amore, che alla fine sfiora il ridicolo, e quella di un narratore di secondo grado che è anche un testimone della storia raccontata - anche lui poco convincente - sono espedienti narrativi assai poco efficaci, così come Scerbanenco li ha utilizzati.
Per quanto riguarda Trieste sono condivisibili le osservazioni di Tommaso che ringrazio per la bella citazione di Saba.
 
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Kirk Mesana
view post Posted on 22/7/2010, 21:49




Ah! Ecco qui l'articolo cheavevo letto tempo fa , l'articolo in questione è di uno scrittore di origini Istriane che scrive parlando del nostro " si era pure fermato per un certo tempo a Trieste.", di qui la mia convinzione che il nostro ha soggiornato a Trieste (ved. Bacheca/Scerbanenco a Trieste).
Se riuscissi ad avere maggiori info a riguardo potrei recarmi nei luoghi Scerbanenchiani e fotografarli per il forum....Se avrò news vi farò sapere.

A presto dal Capitano Kirk.

Edited by Kirk Mesana - 22/7/2010, 23:04
 
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tommaso berra
view post Posted on 6/4/2014, 10:02




Capitano, mio capitano, che fine hai fatto?
 
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4 replies since 22/4/2010, 17:41   889 views
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