L'ADRIATICO "MILANESE" DI SCERBANENCO, Da "Un weekend postmoderno" di P.V. Tondelli

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Tommaso Berra
view post Posted on 23/5/2014, 19:37




Pubblico in questa sezione, nella quale ho già pubblicato il mio L'Adriatico vivente di Scerbanenco, alcune pagine molto interessanti e acute di Pier Vittorio Tondelli, in cui si parla del rapporto tra Scerbanenco e l'Adriatico, in particolare Rimini e Riccione, che ho intitolato "L'Adriatico 'milanese' di Scerbanenco". Sono tratte da Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta, Bompiani 2009, nel capitolo Cabine!Cabine! dedicato alla letteratura adriatica, del quale riporto soltanto un paragrafo. L'autore, scrittore e intellettuale di spessore, scomparso a soli 36 anni nel 1991, era nato a Correggio, in provincia di Reggio Emilia. Tra le sue opere, il romanzo Rimini, edito nel 1985. Da rilevare che mentre il mio L'Adriatico vivente di Scerbanenco è basato essenzialmente sulla lettura de I diecimila angeli e di Né sempre né mai, ambientati prevalentemente il primo a Comacchio, il secondo a Lignano Sabbiadoro, le riflessioni di Tondelli riguardano alcuni racconti e Al mare con la ragazza, ambientati a Rimini e Riccione. Due diversi approcci e visioni scerbanenchiane dell'Adriatico, che si integrano.


SCRITTORI ROMAGNOLI. A questo punto, ci siamo già addentrati in uno degli aspetti più appassionanti della ricerca, e cioè la tradizione letteraria emiliano romagnola. Per me, ha avuto l'effetto di una vera e propria scoperta. Nomi di autori come Alfredo Oriani (1852-1909), Antonio Beltramelli (1879-1930), Alfredo Panzini (1863-1939), Marino Moretti (1885-1979), Dante Arfelli (1921) o lo stesso Antonio Baldini (1889-1962), sinceramente non mi dicevano molto, a parte
reminiscenze scolastiche o approcci casuali. Eppure la loro lettura si è rivelata interessante e feconda. La quinta generazione di Dante Arfelli - romanzo di guerra, di scontri operai, di occupazione e sfollamento in una città sul mare - ha avuto l'effetto di una bellissima rivelazione drammatica. Per Il padrone sono me (1922) di Panzini, addirittura inaspettati risvolti di contaminazione dello stile aulico con echi gergali e costruzioni tipiche del parlato: un giovane Holden sulla riviera, furbo e sarcastico. E anche la prosa "fascistissima" di Beltramelli, tutta la sua retorica, il suo epos patriottico-romagnolo, le storie eroiche della prima guerra mondiale, le celebrazioni di una super razza di contadini e pescatori, ha rivelato, nei momenti migliori, l'impressione di una satira di costume certamente greve e machista, ma anche insperabilmente divertente, come nel caso del racconto Il banchetto, piccolo pasto romagnolo da infilare fra Rabelais e Marco Ferreri: "Furono serviti prima i cappelletti, i tradizionali cappelletti che compaiono in ogni tavola romagnola, dalla più modesta alla più sontuosa nelle grandi occasioni. Dopo la minestra il simposiarca dette ordine che la lunga fila delle portate incominciasse. Si presentarono, ad una sua chiamata, Smeraldina e Sghirbàzz recando enormi vassoi di carne bollita. [. . .J E Rudàr offri le salse verdi, le salse di alici, di capperi, di timo e di menta. [ ... ] Al bollito seguirono i fritti dolci, i fritti misti, i fritti romagnoli specializzantesi per la loro particolare indigestività; poi i pesci di mare, i grandi lucci e le anguille di fiume serviti con sovrabbondanza di salse e di contorni; poi gli umidi ricchi di colore e di profumi, gli uccelletti in salmì, le enormi frittate alla campagnola, i galletti alla cacciatora, la zuppa di rane palustri, otto grandi tacchini arrostiti e, il cuore dei convitati si allargò di sollievo, un piramidale pasticcio tutto a fiorami, a ghirigori, a frastaglii. [...] Comparve una grande trota seguita da vere torme di budini di riso, di verdura, di rigaglie, di ricotta; poi quattro lepri in salmì; anatre selvatiche e beccaccini con lenticchie, e quattro gelati conici, bianchi e lucenti." E non siamo ancora alla fine.
Non è il caso qui di soffermarsi sugli aspetti tematici e sullo stile di questi autori, quanto giustificare la loro presenza in una ricerca dedicata agli scrittori e Riccione. Poiché i campanilisti obietteranno: Panzini racconta di Bellaria; Pascoli di San Mauro; Moretti è di Cesenatico; Dante Arfelli, pure; Oriani prende il sole sulla spiaggia di Rimini Marittima; e Beltramelli, che è della campagna forlivese, se va al mare, preferisce raccontare dei pescatori di Comacchio. È verissimo. Cosi come altrettanto vero è che il racconto di Valerio Zurlini La prima notte di quiete di un Lord Jim casalingo, in realtà è ambientato nel fuori stagione riminese. O che il racconto di Mario Luzi del 1950, da cui citiamo il primo, levissimo e malinconico capoverso, non si intitola Riccione bensì Cervia: "Come la terra di Romagna che del resto le stringe da vicino con la sua campagna piatta, ricca e torrida, anche le cittadine costiere nascondono qui la loro grazia sotto un velo offuscato di malinconia e di squallore: a rimanerne convinto è poi piuttosto un sesto senso che la vista pura e semplice. Il mare stesso, pallido e fiacco, più che eccitare il sangue con un'ebrietà istantanea, penetra per altre vie, più lente e segrete e certo meno sensibili, nella nostra confidenza e quasi direi nel nostro benessere. Dapprima una mortificante mancanza di materia, una poco generosa e pittoresca elementarietà ce ne fanno avvertire la noia e il vuoto; ma poi lentamente, di giorno in giorno, si apprezza sempre più la levità di questi orizzonti, l'esaltazione trascolorante più dello spazio che dell'acqua, quell'azzurro rarefatto insomma a cui non contrasta da terra nessun altro colore deciso, ma risponde se mai qualche tinta tenue e spenta che può lontanamente specchiarlo. Siamo qui nel dominio della pura luce e dei suoi puri pochi e avvenimenti mentre del colore carico e squillante delle malÌne tirreniche non trova segno."
Tutto vero. Ma anche tutto profondamente coerente a una sorta di sfida intellettuale che il nostro lavoro tende a lanciare: vedere, cioè, la riviera adriatica, da Comacchio a Gabicce, come un'unica città.
Nel corso degli anni, questa caratteristica ha assunto un'evidenza e, per quanto sia non del tutto corretto riferirsi al proprio lavoro, vorrei semplicemente annotare come l'aspetto più seducente - soprattutto da un punto di vista narrativo - fu per me il poter ambientare un romanzo non tanto in una città, ma in una metropoli balneare che non ha equivalenti in Europa: una grande città della notte e del divertimento che si estende per centocinquanta chilometri di costa e in cui si riversano milioni di persone per celebrare il rito di quell'unico, vero periodo di deroga carnevalesca che la società odierna consente, cioè la vacanza. Come potremmo altrimenti definire la frenesia dell'estate romagnola con tutto quello scambiare le abitudini diurne in quelle notturne, nel dare la predominanza ai linguaggi corporei, al gioco erotico, all'attrazione sessuale, alla non produttività, al riposo, se non ricorrendo alle categorie del carnevale? Quanto patetico e triste appare il rito del martedì grasso se connontato anche con una sola, casuale, notte sulla costa adriatica. Il travestimento nelle discoteche, il tirare mattino, il ballare, cantare, correre in auto lungo i viali, rimorchiare, nuotare, mangiare, bere ... Non è questo il vero carnevale? Non è questa la vera messa in scena dei furori e dei tic della nostra cultura di massa? Non è qui il nazionalpopolare? Ma i nostri scrittori, democratici e pop, preferiscono altre mete. Si turano il naso: Riccione? Per l'amor di Dio! Rimini? Basta, basta! E non hanno mai messo piede su questa spiaggia. Per esperienza personale, posso affermare che ogni volta in cui mi è capitato di trascinare a Riccione, dopo molte insistenze, qualche amico snob, dovevo faticare parecchio a portarmelo via. Preso il ritmo della riviera, non lo si vedeva più. Imboscato nelle discoteche fino al mattino, celato al chiaro di luna ad amoreggiare dietro le cabine, sepolto da piatti di garganelli e piadine durante il giorno, a prendere il sole nel tardo pomeriggio in compagnia di qualche belva ...
Gli unici autori che abbiano sottolineato questo aspetto della riviera appaiono, per quanto ho ricercato, Alberto Arbasino, Guido Piovene e Giorgio Scerbanenco. Il primo ci dà, in Fratelli d'Italia (1963), un frenetico itinerario romagnolo che si conclude, di notte, proprio a Riccione: "Invece non meno di sei volte l'avanti-e-indietro fra Rimini e Cattolica, ma è talmente tardi, anche per diavolini tedeschi, saranno tutti a dormire e andiamo a coricarci anche noi in un incredibile puro Dusseldorf, però con marmi grigi fin sul soffitto, a Riccione."
Guido Piovene, che abbiamo visto nel 1947 sedere nella giuria del premio Riccione annota, nel suo Viaggio in Italia (1957), un aspetto che vedremo svilupparsi in misura quasi totalizzante nei decenni successivi: "Notevole l'apporto del turismo nella fascia costiera, a Rimini, Riccione, Cesenatico e Cattolica, che hanno spiagge tra le migliori d'Italia ed affollatissime nei mesi estivi. Rimini, nel dopoguerra, si è mutata in una spiaggia, inconsueta da noi, di tipo americano. Un fenomeno che questa regione presenta spesso: vi si uniscono il così detto 'materialismo' emiliano, l'amore della tecnica, l'avvenirismo pronto a ricevere nuovi stampi."
L'inconsueta americanizzazione della costa, nelle strutture e nei servizi, arriverà, nel decennio ottanta al suo compimento; quando, cioè, troverà spazio anche nell'immaginario collettivo. "Rimini come Hollywood", proporranno di scrivere, a grandi lettere, sul colle di Covignano gli impetuosi ragazzi dell'ONU (One Nation Underground). Il percorso si salda.
Ma è forse Giorgio Scerbanenco l'unico scrittore italiano che ha intuito le potenzialità narrative della riviera adriatica nel pieno della stagione. Le spiagge di Rimini, di Riccione e di Cervia devono essergli parse il contraltare estivo della Milano in cui si muovono i suoi ruffiani, i rapinatori, i malavitosi di quartiere ancora non inseriti nel traffico di droga, ma che campano con le bische clandestine, il riciclaggio di refurtiva, lo smercio di armi e di oggetti preziosi.
Ha ragione Oreste del Buono quando scrive che "la fantasia nera di Scerbanenco torna sempre a Milano". Perché anche la riviera adriatica, nelle sue pagine, altro non appare che il prolungamento, ferragostano e vacanziero, della metropoli lombarda, con i suoi professionisti milanesi che affollano gli alberghi e le pensioni, le mogli che parlano, sotto l'ombrellone, dei loro appartamenti cittadini, le segretarie in libera uscita che ballano davanti ai juke-box della spiaggia come davanti a quello del bar del Giambellino.
Fra i ventidue racconti di Milano calibro nove (1969), eccone un paio che hanno a che fare, esplicitamente, con la riviera adriatica. Cosi inizia, per esempio, Preludio per un massacro estivo: "Il professor Pietro Savarelli venne ucciso quell'estate al mare, nella sua villetta sulle dolci colline di Riccione." In Una signorina senza rivoltella - lunga confessione di una balorda che mette in atto, in Foro Bonaparte, un'atroce, estrema vendetta, senza dimenticarsi della propria pelliccia di visone - Scerbanenco ci consegna un malinconico fuori stagione: "In questo momento mi trovo a Rimini, all'hotel Grand Park, sto guardando il mare, è di colore grigio, ma c'è un po' di sole che lo fa scintillare, quasi come fa la luna di notte. [ ...] Sono l'ultima cliente, la direzione mi ha avvisata che dopodomani chiudono, non c'è più nessuno sulla spiaggia a fare il bagno, escluse poche persone vestite pesantemente come me, che passeggiano, qualcuna con una piccola radio in mano, non ci sono ombrelloni, stanno smontando le cabine, un bagnino, lo vedo da qui, sta lavando le sdraio con l'innaffiatore, è l'estate che finisce, mi dispiace, mi dà tanta malinconia, io sono molto sentimentale, ma non lo faccio vedere, si capisce."
Ma c'è di più. La riviera adriatica non appare soltanto come la spiaggia dei milanesi, buoni o, più spesso, cattivi che siano. Nel romanzo Al mare con la ragazza (1973), Scerbanenco coglie la natura interclassista della vacanza sulla costa romagnola. Da un lato, mette in scena la storia dei due giovani dell'hinterland milanese che non hanno mai visto il mare; e dall'altro, quella della borghese che fugge dall'anonimato della riviera in preda a una profonda insoddisfazione personale. Naturalmente, le due storie si intrecceranno, fra cadaveri nel baule, furti di auto, corse sull'Autosole, smarrimenti di piccoli sul bagnasciuga.
Quello che preme rilevare non è solo il talento descrittivo di Scerbanenco (e, sia detto tra parentesi, la sua qualità maggiore: quella di impossessarsi, sadicamente, delle manie della gente comune, quella di saper manipolare, con una perfidia glaciale, il kitsch piccolo-borghese), ma il fatto che l'ambiente della riviera gli permetta di ambientarvi, verosimilmente, un giallo metropolitano. La scena dell'arrivo di Edoarda a Rimini resta, comunque, esemplare: "Arrivò a Rimini che era ancora buio, erano ancora aperti diversi locali; entrò in uno pieno di giovani, tutti moderatamente ubriachi, ma che fingevano di esserlo di più per far chiasso. Tutti mangiavano, le ragazze sembravano negre, i maschi anche; il locale era costituito da capanni di cannucce, il juke-box nascosto e sempre alimentato suonava ritmi selvaggi, quasi come in Africa; il direttore, a uno a uno, cercava di buttarli fuori, perché l'ora di chiusura era passata, e vi riusciva, metodicamente, lasciando stare solo lei che stava mangiando una pizza."
Se tutto questo è vero, non ha più senso oggi il campanilismo delle varie municipalità della costa. Certo, Riccione è diversa da Cervia, Rimini da Cattolica, Milano Marittima da Gabicce. Ma se guardiamo, come interessa fare in questa sede, la storia letteraria della riviera adriatica assunta nella sua complessità, possiamo esclamare col Panzini del Viaggio di un povero letterato (1919): "Oh Romagna, dolce paese democratico! Oh, Romagna, generosa Romagna, forte ed ospitale Romagna!"
Cosi come la Versilia non è solo Viareggio, ma anche Forte dei Marmi, Camaiore o Bocche di Magra (e ogni località ha le sue presenze letterarie), cosi la riviera adriatica non è solo ed esclusivamente Rimini o Riccione. Una volta tracciato un tale orizzonte interpretativo, la ricerca si è fatta più agevole e interessante. Non ero più ossessionato dal reperimento della magica parola "Riccione" nelle pagine o fra le righe degli autografi che consultavo, e, nonostante la rinvenissi, potevo godermi il racconto di un bel viaggio alle foci del Po di Beltramelli, o una chiacchierata sotto l'ombrellone di villeggianti riminesi, marchese e generali, come succede in Al di là (1887) di Alfredo Oriani: "Ecco come io pure concepisco il bagno, in alto mare, guardando la riva lontana e le vele bianche passare all'orizzonte. Vorrei uno scoglio bianco per sedermi con lei al sole e parlare d'amore, fra la cocente solitudine del mare e del cielo. Un bacio allora sarebbe sublime; poi tuffarsi ancora, nuotare di conserva come si cammina a braccetto per il viale di un bosco, e ritornando stanche allo scoglio, riposarei l'una in grembo all'altra, coprendoci coi capelli, dopo averli torti sul sasso, come si scolpiscono le Veneri."
Potevo commuovermi al lirismo del pescatore di Arfelli che racconta del pianto dei delfini, o riflettere sullo strano impasto di tenacia contadina ed eroismo marinaresco che forma gli eroi bellici, ancorché romagnoli, delle Novelle della guerra di Antonio Beltramelli: "Quando il primo degli Antoni si era stabilito laggiù, fra la foce del Po di Primaro e quella del Lamone, era quasi tutta palude all'intorno e poco si seminava, per raccogliere quasi punto."
Potevo divertirmi quando leggevo dei "bei marinari forti e taciturni" di Beltramelli o dei "romagnoli bestemmiatori, gente rude e selvatica, giudicata già indomabile e infida, ma prodiga in ogni combattimento del proprio sangue a testimonianza della sua immutata fierezza"; oppure quando trovavo un attacco del genere: "Così si erano conosciuti ed amati senza parole o tenerezze, il giovanissimo e l'anziano: l'uno gentile e severo, l'altro rude e gioviale; figli entrambi della virtù e della gagliardia di una stessa razza." Come prendere sul serio tutto questo?
Altre volte, nel parlare della ricerca mi capitava di affermare: "Non dico che abbiamo avuto sulla costa adriatica dei premi Nobel, ma basterebbe valutare l'importanza e la molteplicità delle presenze letterarie su queste spiagge, per rilanciare l'immagine culturale della riviera." A ricerca terminata, sono costretto a correggermi. Perché almeno un premio Nobel ha soggiornato da queste parti. E il racconto di questo incontro, fatto nel 1932 da Giuseppe Ravegnani, è un'immagine che si staglia nitida nella nostra immaginazione di lettori: "Grazia Deledda si trovava a Cervia per i bagni, io a Rimini. Una mattina presi il treno, e scesi a Cervia. La trovai sulla spiaggia, sola, all'ombra del capanno. Avevo in mente di lei le fotografie della gioventù: quelle di Roma, di Anzio, di Viareggio: i capelli neri, folti, sulla fronte massiccia. Ora i capelli erano bianchi, d'un candore pieno, d'argento, ma ancora vivi e traboccanti e alti attorno alla testa come un'aureola. Ma più vivi ancora, e giovanili, erano gli occhi, enormi, di un nero fondo che un po', a certe luci, trascolorava in indaco. Semplice, bonaria, con le mani poggiate su una borsa di paglia, che pareva quella della spesa, stava ad ascoltarmi, ora leggermente annuendo, e ora volgendo il capo al mare, quasi temesse qualche domanda indiscreta."

Edited by Tommaso Berra - 23/5/2014, 21:40
 
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