INTERVISTA A STEFANO GIULIDORI REGISTA DI SCERBANENCO BY NUMBERS, Autore: Alessio Galbiati, Rapporto Confidenziale, 26 febbraio 2010

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Tommaso Berra
view post Posted on 2/12/2014, 10:16




Alessio Galbiati: Intanto i complimenti: Scerbanenco by Numbers è un’opera che mi è piaciuta moltissimo, davvero notevole. Vorrei capire come è nato il documentario, non tanto dal punto di vista produttivo, di questo avremo modo di dare conto, ma dal tuo punto di vista. Immagino che alle spalle ci sia una passionaccia per Scerbanenco…

Stefano Giulidori: In realtà non c’era, è una cosa che è venuta fuori col tempo. La mia concezione del cinema è piuttosto radicale, sono sempre stato piuttosto contrario, direi eticamente, al poliziesco all’italiana. Me ne sono allontanato ancora di più quando è diventato moda. All’epoca in cui frequentavo la Scuola di Cinema (noto corso interno alle Scuole Civiche di Milano, ndr.) molti miei compagni ne erano appassionati e da questa avevano mutuato una passione per Scerbanenco. Io invece lo consideravo l’autore per eccellenza del poliziottesco all’italiana, la genesi del genere, e per questo l’avevo sempre rifiutato: non mi sembrava letteratura, poco interessante e troppo modaiola. In realtà il mio reale interesse, maturato nel corso degli anni, era quello di fare un film sul mio quartiere che è Porta Venezia a Milano. Erano tanti anni che avevo a cuore questo progetto, questa idea, un po’ allo stesso modo di molti celebri registi che attraverso il cinema hanno dato forma al proprio rapporto privilegiato col proprio quartiere, col loro ambiente. Mi ha sempre affascinato molto, ad esempio, il lavoro svolto da Scorsese per Gangs of New York sulla propria città. Con lo spirito di voler fare un progetto che raccontasse il mio quartiere mi sono imbattuto casualmente in un racconto di Scerbanenco, contenuto in una raccolta che regalai alla mia fidanzata – che è invece un’appassionata di poliziotteschi, Porta Venezia con paura, contenuto nella raccolta Milano calibro 9. A quel punto non potevo esimermi, l’ho letto e ne sono rimasto sconcertato. Ho quindi letto l’intera raccolta e mi sono accorto che lui Porta Venezia la conosceva perfettamente. Quei luoghi, che conoscevo o che mi erano stati tramandati dalla mia famiglia che lì abita da qualche decennio, venivano raccontati con una chiave narrativa tutt’altro che legata al poliziottesco, o al giallo o ancor peggio alla lìgera, come banalmente si cerca di connotare la scrittura di Scerbanenco, ma erano storie assolutamente nere.
Ho deciso che quella doveva essere la mia chiave di lettura su Porta Venezia, e l’unico modo in cui si possa fare un film su Porta Venezia, oggi a Milano, è – ahimè – un documentario, non potevo fare altrimenti. Se avessi voluto fare un film, anche piccolo, non ci sarei mai riuscito. Ho chiesto dunque un finanziamento a Filmmaker, ero abbastanza sicuro di poterlo ottenere perché era un progetto costruito in maniera piuttosto forte, proprio per convincerli…

Alessio Galbiati: Avevi lavorato ad una sceneggiatura?

Stefano Giulidori: In quella fase no, l’ho fatto solo successivamente ed in collaborazione con Francesca Tassini, con la quale avevo precedentemente lavorato allo script di Mr. 4° Piano (2004). Un progetto è sostanzialmente un trailer. Per avere la garanzia di parlare di Scerbanenco dovevo andare dalle fonti dirette, ovvero la sua famiglia. Da qui è nato un rapporto che dura ormai da cinque anni, un forte legame con Cecilia e Germana Scerbanenco, le figlie di Giorgio Scerbanenco, ed anche con l’ultima compagna dello scrittore, che è la loro mamma, Nunzia Monanni, una donna molto importante e speciale che sono riuscito ad intervistare e che nel maggio scorso è purtroppo mancata. Da questa conoscenza ho iniziato un percorso di lettura della sterminata produzione di Scerbanenco, ho cercato di leggere il più possibile, per strutturare sostanzialmente l’idea complessiva di questo mio progetto, ovvero raccontare Porta Venezia con gli occhi di Scerbanenco.
C’è poi la questione del mio rifiuto del digitale per il cinema, il mio amore incondizionato per la pellicola, che perseguo da anni e proprio grazie a questo, al fatto di poter disporre di moltissimo materiale in super8 e 16mm, ho montato una breve sequenza con in sottofondo Un giorno dopo l’altro di Luigi Tenco, una delle canzoni preferite da Scerbanenco, e credo che proprio questo trailer, della durava di circa un minuto, li abbia convinti. Porta Venezia raccontata da Giorgio Scerbanenco.
Il materiale che avevo era moltissimo: potevo contare su molti rulli in super8, ma soprattutto sull’enorme quantità di materiale che mio nonno e mio padre avevano girato negli anni.

Alessio Galbiati: Ho notato nei crediti…

Stefano Giulidori: Walter e Roberto Giulidori sono accreditati come operatori super8 insieme a me.
Quindi con questo materiale, e l’impostazione di cui ti ho detto, ho proposto il progetto a Filmmaker. Poi il tutto ha preso un’altra direzione.

Alessio Galbiati: A questo punto è necessario ricostruire la storia di Scerbanenco by Numbers. Io mi sono imbattuto nel tuo documentario un paio di anni fa, per un progetto legato a Scerbanenco ed al film Milano calibro 9. Poi però quando ti ho contattato mi hai raccontato che attualmente sta per trovare la via della distribuzione, ho visto pure che nel 2006 è stato presentato al Courmayeur Noir in Festival… par di capire che la vicenda produttiva sia piuttosto complessa e per quel che ho avuto modo di vedere sia una stratificazione di molte cose, data dalla natura del progetto, ma anche, inevitabilmente, dal tempo della sua realizzazione.


Stefano Giulidori: Diciamo che il film non è ancora chiuso, per farlo ho bisogno di una distribuzione e forse l’ho trovata; ma questa è una cosa della quale non vorrei parlare. Al momento comunque diciamo che Scerbanenco by Numbers è congelato, quando qualche festival me lo chiede, glielo do con molta gelosia. Mi scoccia molto parlarne sempre in termini di work in progress… una chiusura ad un certo punto la dovrò trovare.
Alessio Galbiati: In che anno hai iniziato a lavorarci?

Stefano Giulidori: Vediamo, ho iniziato nel… ufficialmente nel novembre del 2005, c’è stato un periodo di gestazione di circa dieci mesi, poi è partito con il premio Kodak…

Alessio Galbiati: Dunque la versione che ho visto io… è quella che è attualmente!

Stefano Giulidori: Ci sarà una nuova versione, con un montaggio differente… ma come dicevo bisognerà ancora aspettare un po’. Sostanzialmente sarà un po’ più lunga e ci saranno nuove interviste.

Alessio Galbiati: Uno dei punti d’interesse principali del tuo documentario è l’attenzione alla città di Milano, fatto del resto confermato dalle tue parole, una città che si vede già dalla prima sequenza, in cui dal treno la osserviamo sfilare da fuori al finestrino… immagine assai poco utilizzata dal cinema, ma davvero estremamente condivisa, milioni di persone l’hanno vista e continuano a vederla… tu quell’immagine la contestualizzi come rappresentazione del dato biografico dell’arrivo del giovane Scerbanenco in città – l’arrivo a Milano è infatti il titolo del primo capitolo del documentario. Volevo capire con che occhio hai cercato di raccontare una città come Milano che nel cinema è da sempre un territorio sfuggente da rappresentare.

Stefano Giulidori: Fondamentalmente sono sempre alla ricerca di punti, di angoli di Milano, che non siano presi in considerazione, dimenticati. Sono anche alla ricerca di quei punti ed angoli della città che avevo nella mia personalissima memoria da quando ero bambino; a mio avviso, secondo cioè la mia concezione estetica, Milano all’inizio degli anni ottanta ha raggiunto l’apice della sua bellezza. La Milano di Rocco e i suoi fratelli è stupenda e grandiosa, è una città che c’è e non c’è, una città riconoscibile solo per chi la conosce, non la solita inquadratura del Duomo o della torre Velasca… Allo stesso tempo però non mi piace l’approccio da archeologia urbana, di quello che va a scovare cose nascoste, mi piacciono quei luoghi noti che difficilmente rimangono impressi nella memoria di chi se li trova davanti, luoghi da far riaffiorare da un livello subliminale. Ad esempio la sequenza che dici tu, quella dell’ingresso in stazione Centrale, è un qualcosa di condiviso, ad esempio da tutti i pendolari che quotidianamente si recano in città, una immagine reale che ricontestualizzata riacquista quel qualcosa che inevitabilmente si tende a perdere. Per essere più chiaro, e spiegare un poco meglio il mio metodo: cerco dei punti di vista speciali, angoli di città che abbiano a che fare con la quotidianità delle persone.

Alessio Galbiati: Avendo ripreso la città con supporti di ripresa fotografici, 8 e 16 mm, il risultato diviene disorientante dal punto di vista temporale, lo spettatore fatica a collocare nel tempo queste immagini, non ci sono appigli per comprendere se queste provengano dalla nostra epoca piuttosto che dalla fine degli anni sessanta…

Stefano Giulidori: Questo è un discorso a parte, soprattutto sull’uso che faccio del super8…

Alessio Galbiati: Voglio dire che par di capire che l’uso che fai del super8 vada incontro a, o sia uno strumento per, la soddisfazione di questa tua esigenza di raccontare questi luoghi di Milano donandogli quell’aura perduta.

Stefano Giulidori: Mettiamola così, quello che ho cercato di mettere in scena è il possibile sguardo di Giorgio Scerbanenco su Milano, la città che gli avrebbe cambiato la vita. Volevo che le immagini sembrassero un ricordo di un’epoca passata ed il super8 è per me il linguaggio della memoria, è l’occhio della memoria. Non lo dico in relazione ai filmini in super8, a quegli eventi registrati in famiglia su quel supporto, ma proprio per la natura fisica e fotografica di quel materiale. La pasta con cui è fatto, lo sbiadito, quel pulviscolo strano… Sono un po’ come le immagini che il nostro cervello produce quando dormiamo.

Alessio Galbiati: Nell’edificazione di questo progetto ti sei trovato a mutare il tuo giudizio su Scerbanenco in quanto scrittore…

Stefano Giulidori: L’atteggiamento l’ho cambiato non appena ho finito di leggere Porta Venezia con paura, quel racconto mi ha fatto comprendere che il mio era un pregiudizio…

Alessio Galbiati: Qual è dunque la tua valutazione sullo scrittore Scerbanenco?

Stefano Giulidori: Giorgio Scerbanenco è uno dei più importanti scrittori italiani del XX secolo e soprattutto non è uno scrittore di genere, anche se per tutta la vita non ha scritto altro che libri di genere. Uno scrittore che narra il nero, non il poliziesco. Scerbanenco nella sua sterminata produzione frequenta il noir assai poco, diciamo il 10% del totale di quanto ha scritto. Ha scritto una roba tipo tremila racconti e cento romanzi.

Alessio Galbiati: …quelli che si sono riusciti ad identificare…

Stefano Giulidori: Esatto. In questa sterminata produzione la costante è stata la ricerca ossessiva del lato oscuro delle cose, modulata a seconda del genere entro cui si trovava costretto a scrivere in quel momento. Con l’arrivo di Duca Lamberti (è il nome del protagonista della serie di romanzi che lo renderà celebre, ndr.) negli ultimi anni della sua vita riesce ad essere più libero, questa volta però dando un taglio poliziesco alla sua scrittura. Scerbanenco non è uno scrittore che parla delle lìgera, tantomeno della mafia, Scerbanenco racconta come il male si insinui nelle persone e come la malavita entri in contatto con le persone comuni e come potenzialmente il male possa trasformarle.

Alessio Galbiati: I milanesi ammazzano al sabato!

Stefano Giulidori: I milanesi ammazzano al sabato perché non hanno tempo il resto della settimana, un titolo decisamente emblematico.
Lui si interroga sui comportamenti delle persone comuni dentro a situazioni di un certo tipo, questo è lo spirito da grande sperimentatore di Giorgio Scerbanenco. Poi un altro aspetto è legato al fatto che ha saputo lasciare il segno, è diventato il punto di riferimento del noir, chiunque deve misurarsi con lui, che sia uno scrittore piuttosto che un cineasta.

Alessio Galbiati: A tuo avviso è dunque fuorviante ed errato considerare un film come Milano calibro 9 di Fernando di Leo legato alla scrittura di Scerbanenco?

Stefano Giulidori: Non c’entra nulla. Ci sarebbe da fare un discorso molto complesso e variegato in cui non mi voglio addentrare, legato al periodo in cui lui stava per morire e c’erano in ballo le sceneggiature cinematografiche dei suoi film, tutte più o meno saccheggiate. È successo quello che è successo… con Milano calibro 9 è stata fatta un’operazione cinematografica che con Giorgio Scerbanenco ha ben poco a che fare. Poi riconosco il valore di quel film, ma questa è tutta un’altra faccenda.
Ho pensato questo lavoro anche per liberarlo da tutto quello che negli anni si è coagulato attorno al suo nome, vorrebbe essere in fondo un semplice invito alla curiosità della spettatore, una sollecitazione ad andare in libreria per leggere i suoi romanzi, i suoi racconti, senza troppi pregiudizi.

Alessio Galbiati: Tornando a parlare del tuo documentario, e per provare anche un po’ a descriverlo, possiamo dire che sostanzialmente è suddiviso in tre blocchi differenti: le interviste (ai familiari ed al bibliografo, Roberto Pirani), le immagini della città e poi c’è una narrazione, una storia con una protagonista femminile all’interno della storia della vita di Scerbanenco. Volevo mi raccontassi un po’ meglio di cosa tratta quest’ultimo elemento, e di come l’hai messo in relazione con le interviste, perché il risultato mi pare assolutamente felice ed efficace, questa storia nella storia riesce a creare proprio quella curiosità che dicevi poc’anzi, un tentativo di dare forma alla sua scrittura…

Stefano Giulidori: Sono contento che questa cosa l’hai notata, i tre blocchi sono stati un motivo di confronto continuo con i collaboratori e non solo… Intervista, materiale in super8 e fiction. Il documentario è stato un escamotage per riuscire a realizzare il progetto, una specie di libretto degli appunti per un eventuale possibilità di fare un progetto più legato alla finzione. La narrazione voleva essere un viaggio nella letteratura di Duca Lamberti, ma anche in altre opere di Scerbanenco, ho preso vari elementi dai romanzi delle serie di Duca Lamberti e li ho messi insieme, ho inquadrato i luoghi in cui le storie erano ambientate, ho preso un personaggio che vorrebbe vagamente richiamare uno dei personaggi di Traditori di tutti. Ho semplicemente messo in scena alcune cose che ricordassero Scerbanenco e Duca Lamberti, senza però entrare troppo nello specifico né tanto meno nel filologico. Direi quasi un’operazione letteraria più che cinematografica, un’operazione ai limiti del pubblicitario. Sono andato in luoghi come Vittor Pisani, piuttosto che lo zoo dei giardini di Porta Venezia dove è ambientato un racconto d Milano calibro 9. Ho cercato degli indizi visivi che mi aveva lasciato Scerbanenco, ed in quei luoghi ho cercato di mettere in scena delle cose, dei soggetti, dei temi ricorrenti della sua scrittura.
È stato un bel lavoro anche sugli attori; la protagonista si chiama Simona Manfredi ed è una regista, una mia ex compagna della Scuola del Cinema. Mi piace molto utilizzare registi come attori, si riesce a lavorare molto bene con loro. Poi c’è mio padre, ci sono amici, conoscenti… la direzione degli attori è stato un aspetto molto divertente.

Alessio Galbiati: Mi pare di capire che il tuo non sia un lavoro improvvisato. Dietro a Scerbanenco by Numbers c’è una persona che da anni si occupa di immagini in movimento. Volevo sapere qual è stato il tuo percorso, quali altre esperienze avevi avuto e, magari, cosa stai preparando per il futuro.

Stefano Giulidori: Il mio percorso mi è stato chiaro da molto presto, ho deciso di fare il regista quando avevo sette anni! La cosa può suonare strampalata, ma tant’è. Tutto quello che ho fatto è stato finalizzato a riuscire in qualche modo a fare questo mestiere. A sette anni mi avevano portato al cinema a vedere due film che hanno decisamente colpito il mio immaginario: I predatori dell’arca perduta e Fitzcarraldo. È strano portare un bambino di sette anni a vedere un film come Fitzcarraldo, ma è andata così.

Alessio Galbiati: Forse e ancora più strano portarlo a vedere I predatori dell’arca perduta…

Stefano Giulidori: Comunque sta di fatto che ho deciso che quello poteva essere un mestiere bellissimo. Ho fatto malissimo le superiori cercando di emulare Truffaut, finché finalmente sono riuscito ad entrare nel cinema occupandomi di festival, sono ahimè entrato come cinefilo, ho collaborato con Pandora, un’associazione che dava vita ad una fitta programmazione all’auditorium San Carlo di Milano. E intanto facevo l’assistente ad un operatore. Finché una decina d’anni fa sono stato chiamato a fare l’assistente di produzione in un lungometraggio di Studio Azzurro, Il mnemonista di Paolo Rosa…

Alessio Galbiati: Caspita! Un film bellissimo, dimenticatissimo ma bellissimo!

Stefano Giulidori: Quella è stata un’esperienza eccezionale. Il mio percorso si è comunque sviluppato nel reparto di produzione anche perché alla Scuola di Cinema che ho frequentato mi sono specializzato in produzione, perché ero molto motivato a fare produzione, e subito dopo la scuola ho iniziato a lavorare in pubblicità come assistente di produzione ed aiuto regista; questo percorso mi ha dato modo di avere una conoscenza di tutti i reparti, e la produzione è nevralgica da questo punto di vista, e pure di entrare in contatto con un gran numero di persone che poi ti possono aiutare a realizzare il tuo film, il tuo cinema. Il grande segreto di questo mestiere è quello di riuscire a lavorare con amici, con persone che stimi e delle quali puoi fidarti ciecamente. Parallelamente alla mia esperienza di assistente di produzione incominciavo a fare i miei cortometraggi.
Fondamentale è stato il mio rapporto con Marina Spada, produttrice e regista che insegna alla Scuola di Cinema di Milano, è stata la mia insegnante e sono stato suo aiuto regista nei suoi due lungometraggi: Forza Cani, film del 2002 e Come l’ombra, del 2006. L’insegnamento di Marina Spada è stato molto importante nella mia formazione, soprattutto dal punto di vista tecnico. Ho sempre avuto il timore di arrivare sul set e non sapere cosa dire e cosa fare, ho sempre avuto paura che il resto della troupe mi divorasse. Ho cominciato a fare cortometraggi che hanno ottenuto alcuni riconoscimenti, spot, videoclip ed intanto ho scoperto Scerbanenco ed è nato questo progetto.
Fondamentale è stato anche il rapporto con Francesco Narducci, direttore di produzione, egli è stato il mio vero maestro, mi ha fatto crescere dandomi la possibilità di fare gavetta nella "Groucho Film", prima in produzione e poi come regista.

 
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